Andiamo subito al cuore della questione con una domanda: la Federal Reserve manterrà la sua politica monetaria accomodante nonostante il surriscaldamento dell’inflazione che il mese scorso ha registrato un balzo del 5% annuo, il più ampio da agosto 2008, ed è cresciuta dello 0,6% rispetto ad aprile?
Appare difficile rispondere ora a questa domanda, anche se la Banca centrale statunitense ha ribadito più volte nelle scorse settimane che gli aumenti dei prezzi sono provvisori, non lasciando così presagire un cambio di passo nel prossimo incontro del Federal Open Market Committee (Fomc), previsto il 15-16 giugno. D’altronde, per gran parte l’impennata dei prezzi è derivata da articoli come materie prime e tariffe aeree, ed è quindi probabile che sia temporanea.
Ma non tutti sono di questo avviso. E resta il fatto che un livello dei prezzi al consumo in forte rialzo rischia di ridurre l’impatto espansivo del forte aumento della spesa pubblica voluto dall’amministrazione Biden, come dimostra l’andamento dei salari reali (ovvero le retribuzioni nominali in rapporto all’inflazione).
Non è dunque affatto escluso che qualora il livello dei prezzi dovesse continuare a salire la Fed decida di intervenire per evitare un eccessivo surriscaldamento dell’economia, limando al rialzo i tassi di interesse. In questo caso, le altre principali banche centrali del mondo (compresa la Bce) non avrebbero scelta che adeguarsi.