Dalla riunione della BCE esce un messaggio chiaro: c’è una ricalibratura del programma di acquisto dei titoli, ma non è indicata alcuna data per la fine del Quantitative easing. Nel 2018, il ritmo mensile degli acquisti sarà dimezzato (da 60 a 30 miliardi al mese), ma resta l’opzione di prolungarli e addirittura di aumentarli nuovamente, se necessario.
Insomma, allungare la vita al Qe significa rinviare il rialzo dei tassi. E quando finirà, e anche quando i tassi dovessero risalire, la BCE potrà comunque continuare a reinvestire i titoli scaduti.
L’obiettivo è noto: riportare l’inflazione al 2% sostenendo la domanda interna per ridurre l’output gap e far crescere i salari. Un’impresa da realizzare senza alcun aiuto della politica fiscale.
Quel che la banca centrale può fare è mantenere basso il costo del credito, contando sulla domanda estera per avviare un effetto moltiplicativo delle esportazioni sulla domanda interna. Per questo Draghi ha rinviato l’apprezzamento dell’euro, che rimane comunque nello scenario.
La BCE sa di essere il maggior collante dell’Eurozona e sa che l’incompletezza della moneta unica giustifica, e anzi esige, l’anomalia di una banca centrale che acquista e garantisce, seppur condizionatamente, i debiti dei paesi membri. Sarà così finché non ci sarà un titolo europeo.