Spread a 233 punti: torna a fare paura

Anche con Draghi l’Italia si conferma l’anello debole dell’Eurozona

Spread a 233 punti: torna a fare paura

La svolta rigorista di giovedì della Banca centrale europea, che ha avviato la fine dell’era dei tassi zero e del quantitative easing (lo strumento che, tramite l’acquisto di titoli del debito dei paesi in difficoltà, Draghi dal 2015 ha usato per salvare l’Euro e i conti pubblici italiani), apre uno scenario dove l’Italia sembra tornare in balia dei mercati e lo spread a correre. La lotta all’inflazione miete dunque la sua prima vittima nel paese guidato dall’ex presidente della Bce.

L’aumento del differenziale fra i tassi di interesse dei titoli italiani e quelli tedeschi è tornato ad essere la parola più citata nei telegiornali: lo spread è arrivato a 233 punti base. Certamente non è nulla a confronto con i 528 che raggiunsero Tremonti e Berlusconi nel 2009, ma tredici anni dopo le dinamiche sono simili a conferma che per i mercati l’Italia – con o senza Draghi – è ancora oggi considerata l’anello debole dell’Eurozona.

Il rendimento del decennale italiano è pari al 3,713%, un livello che non vedeva dal febbraio del 2014. Sebbene la mossa di Lagarde di alzare i tassi fosse attesa e moderata, è stato l’annuncio dello stop quasi totale al Quantitative easing a produrre gli effetti più pesanti. A fine 2021 sul Btp decennale il ministero dell’Economia pagava l’1,1% di rendimento, ieri 2,8% in più.

“L’impatto dello spread sui conti pubblici, in termini di aumento della spesa per interessi, per ora è limitato: oltre tre miliardi conteggiando un punto percentuale in più di tasso medio sui titoli di Stato. Ciò che preoccupa è la velocità di aumento dello spread. Se l’aumento continuasse a questo ritmo, finirebbe per diventare un problema”. Sono i calcoli dell’Osservatorio di Carlo Cottarelli, secondo cui “il costo cresce via via che nuovi titoli vengono emessi per sostituire i vecchi (892 miliardi di titoli scadono entro aprile 2027). Complessivamente, nei primi cinque anni la maggior spesa per interessi, per il rinnovo dei titoli in scadenza, sarebbe di 39,4 mld, di cui 36,7 dovuti al rinnovo di titoli e 2,7 al deficit”.

La Bce, che giovedì ha annunciato due rialzi dei tassi a luglio e settembre, è apparsa poco incline a varare da subito piani anti-spread e ha abbassato le stime di crescita per il 2022 e il 2023, alzando quelle dell’inflazione. E resta un dubbio di fondo: se l’inflazione è (come sembra) determinata da uno shock dell’offerta, e non della domanda, l’aumento del tassi è la mossa giusta?

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