Crolla la lira turca. La Bce è preoccupata per il contagio della crisi economica e monetaria turca sulle banche europee. Lo scrive il quotidiano britannico Finacial Times. Sarebbero a rischio tre istituti di credito: la spagnola Bbva, la francese Bnp Paribas e Unicredit.
Quest'anno la moneta turca ha perso un terzo del suo valore a causa delle politiche del presidente Erdogan, che ha ridotto ulteriormente, dopo la vittoria elettorale di giugno, l'autonomia della banca centrale impedendo una stretta monetaria che appare necessaria in uno scenario mondiale di tassi di interesse in rialzo.
I mercati sono preoccupati per la deriva autoritaria di Erdogan e la discutibile gestione della politica economica. Ankara soffre di surriscaldamento dell’economia e di dipendenza da finanziamenti a breve e investimenti dall’estero: crolli di valuta e credibilità possono generare fughe di capitali.
Il governo dice di voler ridurre l’inflazione sotto al 10%, ma al momento si attesta al 16%. E dal primo gennaio il mercato azionario è sceso del 17%. Se, invece, viene misurato in dollari la perdita assume la proporzione del 40%.
La Turchia ha, poi, un deficit commerciale, che deve essere finanziato attraverso investimenti stranieri e prestiti. Non sarebbe un problema se il deficit non fosse piuttosto ampio, pari al 5,5% del Pil lo scorso anno. A peggiorare le cose una lira debole che rende le importazioni più costose.
Ad accrescere la vulnerabilità del debito estero della Turchia pesano due ulteriori aspetti. In primo luogo, il rifinanziamento del debito. L'agenzia di rating Fitch stima che il fabbisogno finanziario totale quest'anno sarà pari a 230 miliardi di dollari. In secondo luogo, molte aziende turche hanno contratto prestiti in valuta estera. Il problema è che diventano più costosi da rimborsare se il valore della valuta domestica diminuisce. Sono tutti elementi che agitano i mercati finanziari.
Ma ciò che infastidisce ancora di più i mercati è l’opposizione di Erdogan all’aumento dei tassi. Il risultato è che gli investitori non sono convinti che la banca centrale farà ciò che è necessario per stabilizzare la valuta e portare l'inflazione sotto controllo.
Un altro punto a sfavore secondo gli operatori sono le deteriorate relazioni con Washington e le sanzioni Usa contro l’Iran, dal quale Ankara dipende per il proprio fabbisogno energetico: circa il 50% delle forniture di petrolio e il 17% di gas naturale. Eppure, in Turchia, la disoccupazione non è altissima (9,9%) e la crescita è ancora piuttosto alta.