Recep Tayyip Erdogan sembra una trottola. Appena rientrato da Kiev, dove ha incontrato l’omologo ucraino, Vladymyr Zelensky, attende ora di definire la data della visita in Turchia del presidente russo, Vladimir Putin. Il presidente turco è atteso nelle prossime settimane in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi, e a marzo incontrerà il presidente israeliano Isaac Herzog.
Ankara ha da mesi inserito tra le priorità la normalizzazione dei rapporti con attori rivali in un territorio che spazia dal Mediterraneo orientale fino al Caucaso, dal Medio Oriente alla Russia. Una normalizzazione cui Erdogan è spinto anche dalla necessità di distogliere l’attenzione dalla crisi economica che ingolfa da mesi la Turchia e che negli ultimi mesi ha fatto registrare l’impennata rilevante dell’inflazione (48,7% a gennaio), e il crollo della lira, che ha perso il 50% del proprio valore nel 2021 rispetto a dollaro ed euro.
L’iperattivismo di Erdogan, che negli anni scorsi ha perso il treno per l’Europa, si spiega anche con la necessità di rasserenare i mercati, procacciare appalti, provvigioni e contratti per le aziende turche, siglare accordi commerciali, finanziari e turistici, ma anche intese per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia.
In tale quadro si inserisce la consapevolezza turca che una guerra tra Russia e Ucraina avrebbe delle ripercussioni disastrose anche sull’economia turca. Basti ad esempio pensare che il turismo russo nel paese vale il 13 % del Pil turco. E, soprattutto, c’è la stretta collaborazione tra Ankara e Mosca in ambito militare ed energetico (al momento il 40% del fabbisogno di gas di Ankara è coperto dalla Russia).