Sono passati solo dieci mesi da quando la Cina ha lanciato il suo contratto future sul petrolio, denominato in yuan (renminbi), all'International Energy Exchange di Shanghai. Ma, nonostante alcuni presagi negativi, i mercati petroliferi continuano a funzionare e i future cinesi sul greggio hanno sorpassato in termini di volume quelli denominati in dollari scambiati a Singapore e Dubai.
Sebbene il "traffico" rilevato a Shanghai sia ancora in ritardo rispetto a quello dei contratti petroliferi Brent negoziati a Londra e dei future sul petrolio del West Texas Intermediate scambiati a New York, il future cinese viene ora valutato in modo comparabile agli indici Brent e Wti. Il che significa che i future petroliferi cinesi potrebbero portare il renminbi al centro dei mercati globali delle materie prime.
Se cio' dovesse avvenire il dollaro statunitense si troverebbe ad affrontare una sfida senza precedenti alla sua egemonia. E appare sempre più probabile che la moneta Usa nel prossimo futuro non sarà più vista come l'ancora del sistema monetario internazionale, mettendo fine a ciò che Valéry Giscard d'Estaing aveva definito il "privilegio esorbitante" goduto dagli Stati Uniti.
La de-dollarizzazione del mondo sembra ormai un processo avviato. Sia la Russia che l'Iran, ad esempio, già accettano di essere pagati in renminbi per il petrolio venduto a Pechino (anche l'India ha raggiunto un accordo con Teheran per pagare l'oro nero iraniano in rupie). E il fatto assume ancora più rilevanza se si considera che la seconda economia al mondo ha superato lo scorso anno gli Usa come primo paese importatore di greggio.
In questo modo la Cina evita di esporsi alle fluttuazioni del dollaro e, soprattutto, il "petro-yuan" consente al renminbi di internazionalizzarsi. La prima economia asiatica sta gettendo le basi verso una finanza globale multipolare.