Deutsche Bank torna all'utile netto d'esercizio dopo quattro anni in rosso. Ma 341 milioni di euro (sebbene rappresenti un’inversione rispetto alla perdita di 735 mln registrata l’anno precedente) sono poca cosa per quella che si configura come la prima banca tedesca che conta circa 92 mila dipendenti. Il trimestre da ottobre a dicembre 2018 ha visto scendere i ricavi del gruppo e il valore di borsa lo scorso anno è crollato del 50% rispetto al 2017: a conferma del fatto che il taglio dei costi (raggiunto l’obiettivo di attestarsi sotto i 23 mld), su cui si fonda la strategia di ristrutturazione del nuovo ad Christian Sewing, non è sufficiente. Oltre al licenziamento di 6.000 dipendenti, sono stati ribaditi tagli di ulteriori 2.000 lavoratori entro il 2019.
L’utile lordo si dimezza a 530 mln (rispetto al 2017) nel ramo banca d'investimento. Scende della metà a 367 mln anche il risparmio gestito. Solo le grandi gestioni e la banca commerciale danno discreti segnali, con profitti quasi doppi a 829 mln. A complicare il quadro finanziario le vicissitudini attraversate da Deutsche, tra le quali accuse di riciclaggio di denaro sporco, downgrade del rating e l’esito negativo degli stress test.
La prospettiva più probabile per Deutsche è a questo punto la fusione con la banca numero due della Germania, Commerzbank, di cui lo Stato è residuale azionista (15%) dopo avere investito 18 mld a partire dal 2008. Da tempo Berlino sta valutando se riprivatizzare Commerzbank e sarebbe favorevole all'integrazione con Deutsche per tenere il nuovo polo entro i confini nazionali. L’operazione, tuttavia, non è esente da rischi anche perché entrambe sono in crisi. In teoria ci sarebbero altre opzioni: due istituti francesi, BNP Paribas e Société Générale, e uno elvetico, UBS. Tuttavia, il matrimonio domestico al momento sembra lo scenario più probabile. Con il benestare della Bce, a condizione che sia messo nero su bianco “un modello di business fattibile”.