L'aumento dei tassi di interesse deciso dalla Federal Reserve ha portato con sé anche nuovi timori in merito a un eccessivo rialzo dei prezzi. Ci si interroga non solo sugli effetti di tassi più alti, ma anche sulla dinamica dell'inflazione, rimasta a lungo bassa nonostante i tanti stimoli. Perché?
L'economia degli Usa ha abbondantemente archiviato la crisi del 2008, è tonica: i comparti dell'industria e dei servizi vanno a pieni giri e la disoccupazione è in continuo calo. In più si aggiunga una politica monetaria più che benevola, con l'immissione in circolo di molta liquidità e – fino a poco tempo fa - con tassi di interesse vicini allo zero. Tutti elementi che dovrebbero ulteriormente favorire il “riscaldamento” dei prezzi e dell'economia. Eppure l'inflazione non ha reagito per lungo tempo.
Ogni mese, ad ogni rilascio dell'Indice dei prezzi al consumo, i responsabili economici si aspettavano un risveglio, poi puntualmente disatteso (tranne nel dato diffuso il 12 giugno: 2,8% annuo). Alla fine, a forza di consultare tabelle dei consumi e grattarsi la testa una spiegazione unanimemente convincente è arrivata: la “colpa” di raffreddare costantemente i prezzi è del commercio on line. “L'effetto Amazon” lo ha definito Jerome Powell, presidente della Federal reserve. È il comportamento dei consumatori on line, e cioè l'acquisto comparativo, a fare da potente calmieratore dei prezzi.