I risultati delle elezioni di midterm, nonostante i democratici abbiano conquistato la Camera, non modificheranno la politica monetaria. L'economia continua a crescere e la Federal Reserve – che nella riunione dell’8 novembre ha deciso di lasciare i tassi di interesse invariati tra il 2%e il 2,25% - ha chiarito che prevede di continuare ad aumentarli gradualmente fino al prossimo anno.
Ma occorre precisare che la Banca centrale aveva segnalato in anticipo che non avrebbe ritoccato i tassi prima di dicembre. Infatti, l'economia americana resta in buona salute: il Pil del terzo trimestre ha segnato un consistente +3,5% su base annuale e il tasso di disoccupazione è sceso ad ottobre al 3,7%.
La Fed sta attualmente alzando il tasso di interesse di un quarto di punto percentuale ogni tre mesi. A questo ritmo, il tasso raggiungerà circa il 3% entro la metà dell'anno prossimo. Ovvero il livello che la Fed considera neutrale, nel senso che non stimolerebbe né scoraggerebbe l'attività economica.
All’interno della Banca centrale ci sono, tuttavia, voci discordanti. Alcuni vedono all’orizzonte rilevanti rischi inflattivi (e che quindi è necessario incrementare i tassi più rapidamente), altri pensano il contrario, ovvero che si sta procedendo troppo rapidamente al rialzo proprio ora che i salari stanno cominciando a salire, concedendo qualche beneficio reale ai lavoratori.
A rompere questo delicato equilibrio dentro la Fed ci ha pensato, ripetutamente, Trump che ha descritto la Banca come "pazza", "scatenata" e "fuori controllo". La preoccupazione del presidente statunitense è che tassi più alti rallenteranno la crescita economica. Ma il Congresso non ha la stessa idea. Persino i membri repubblicani difendono l'indipendenza della Fed.