Una lotta contro il tempo. Le banche centrali sono chiamate a contrastare l’inflazione affinché non contagi tutti i settori della filiera economica, tantomeno i salari. E dato che trattasi di un’inflazione artificiale - creata nel laboratorio espansivo tanto monetario quanto fiscale del post-pandemia - va combattuta creando una recessione artificiale. È questa l’idea che sembra prendere piede soprattutto negli Stati Uniti. Anzi, dalla Federal Reserve, la banca centrale della prima economia al mondo.
“I prezzi continuano a crescere e restano elevati, mentre l’attività economica si espande in modo modesto”. È l’ultima fotografia sullo stato della prima economia al mondo scattata dalla Fed nel Beige Book, il rapporto che farà da base alle prossime decisioni di politica monetaria della riunione dell’1 e 2 novembre.
Il problema ovviamente riguarda le principali banche centrali a livello globale, con poche eccezioni. E tra Fed e Bce, ancora più complesso è il lavoro della seconda, dato che dalle parti dell’Eurozona c’è da fare i conti con un’economia più debole. Il dilemma di Francoforte è se convenga o meno, a questo punto, accelerare una crisi, cercando di gestirne gli effetti, che arriverebbe comunque nei prossimi mesi con ripercussioni probabilmente più pesanti. Ovvero, la via che sembra essere stata scelta dalla Fed.
Quello che è invece possibile affermare con certezza è che, dopo due anni di allentamento quantitativo, le banche centrali hanno iniziato a restringere i propri bilanci e la liquidità sembra essere svanita nel giro di pochi mesi, rivelando acute vulnerabilità del sistema finanziario. È ormai chiaro che la normalizzazione della politica monetaria sarà difficile e irta di rischi.