La crescita del consumo del pesce a livello globale, il deprezzamento dello yen e le criticità di approvvigionamento causate dalla guerra in Ucraina costringono le grandi catene giapponesi del sushi ad aumentare i prezzi al consumo. Non accadeva dagli anni 80. I ristoranti dei ‘Kaiten-sushi’, dove i piatti già preparati passano su un nastro trasportatore, non garantiscono più la classica porzione base da 100 yen (0,70 euro), che da decenni rappresenta lo standard della qualità a prezzi accessibili.
Una delle principali catene presenti in Giappone, la Sushiro, ha annunciato che sarà costretta ad abolire l’offerta da 100 yen alla fine di settembre per la prima volta dal 1984, applicando una maggiorazione di 20 yen sul piattino che generalmente contiene due porzioni di pesce con il riso. Il gruppo importa gran parte del pesce che offre nei suoi ristoranti, e la repentina svalutazione dello yen, ai minimi in 20 anni sul dollaro, incide ormai da mesi sui margini del gruppo. Stesso discorso per la catena Genrokuzushi, la prima ad aver introdotto il concetto di Kaiten-sushi in Giappone, e che ha già applicato una maggiorazione dal 10 maggio.
Un altro aspetto che ha inciso significativamente sull’aumento dei prezzi è la difficoltà nel reperire pesci di alta fascia, tra cui il granchio reale e i ricci di mare, due varietà che provengono rispettivamente per il 90% e il 50% dalla Russia. Lo stesso discorso vale per le uova di salmone prodotte nel Nord Europa, i cui collegamenti aerei con il Giappone sono stati allungati a causa della guerra in corso in Ucraina. Nel 2021 il Giappone ha importato da Mosca prodotti marini per un totale di 138 miliardi di yen (1,10 miliardi di euro), dietro a Cina e Cile, con l’80% delle forniture costituito da salmone rosso.
Quello del settore ittico è un caso particolare: nel paese nipponico infatti normalmente l’inflazione non viene scaricata sui prezzi al consumo bensì sui salari.