Non si tratta di ottimismo o pessimismo. Più prosaicamente si tratta di applicare un po’ di realismo condito con una capacità minima di lettura e interpretazione dei dati statistici. Ma andiamo per gradi.
Nelle settimane scorse in molti si sono esaltati parlando di un tasso di crescita mai così elevato dal 1970. A sentir costoro sembra che l’Italia stia vivendo un nuovo boom economico. In effetti, l’incremento del Pil nel 2021 è stato rilevante in termini percentuali (6,6%) rispetto all’anno precedente. Ma è sempre bene guardare i dati nel loro insieme. Le illusioni ottiche sono sempre in agguato.
Occorre evidenziare che una recessione come quella del 2020 (-9%) non si vedeva dalla Seconda guerra mondiale. L’andamento del Pil in Italia si configura più che altro come un rimbalzo rispetto allo scorso anno, sospinto peraltro dall’allentamento delle misure restrittive, dall’effetto degli stabilizzatori automatici e dall’incremento della spesa pubblica anticiclica. E, nonostante ciò, l’Italia non ha ancora recuperato il Pil pre-Covid del 2019.
Il governo si è posto l’obiettivo di raggiungere una crescita del Pil di oltre il 4% nel 2022. Dal canto suo l’Ocse nel suo ultimo Outlook ha stimato una crescita del 4,6%, mentre la Banca d’Italia e il Fondo Monetario Internazionale si fermano al 3,8%.
Occorre considerare che queste percentuali non tengono conto del conflitto scoppiato in Ucraina e delle relative conseguenze, sebbene già lo scorso 9 febbraio (quindi ben prima dell’invasione orchestrata da Mosca) l’Istat aveva messo in guardia rispetto a un possibile rallentamento della crescita causato dall’esplosione dei costi energetici.
Anche qualora quelle percentuali per il 2022 fossero confermate, fatto altamente improbabile, il Pil recupererebbe finalmente il suo livello pre-pandemia, ma rimarrebbe comunque al di sotto della media dell’Eurozona.
Inoltre, prima della diffusione del Covid-19 l’Italia (nel quarto trimestre 2019 era ultima per crescita nell’Ue) non si era ancora ripresa ai livelli di attività economica che esistevano prima della crisi del 2008.
In tutto questo occorre considerare anche il fatto che il Next Generation EU non basterà a superare le debolezze strutturali dell’economia italiana. Il che ci riporta alle illusioni ottiche e al sano realismo.