C'è tutto un fermento intorno ai nuovi carburanti, o meglio intorno a una mobilità a basse o zero emissioni nocive. Il traguardo è di avvicinare allo zero l'utilizzo dei combustibili fossili. In attesa che giunga l'era dell'elettrico dai costi contenuti e con batterie ecologicamente smaltibili (ma ci vorrà molto tempo: secondo le proiezioni solo nel 2040 si arriverà a un 50% di elettriche sul totale delle vendite di nuove auto. In Italia, nell'intero 2017 sono state vendute neanche 2000 e-car, lo 0,1% del totale), nel frattempo si sperimenta di tutto, si spera in ogni possibile nuova fonte energetica che faccia girare i nostri motori e che abbia un limitato impatto sull'atmosfera.
La strada maestra, quella già in parte realizzata per una piccola ma crescente parte di veicoli, soprattutto mezzi pesanti, è quella dei cosiddetti biofuel, carburanti a totale o parziale presenza di componenti organici, provenienti da coltivazioni mirate o da biomasse. Ma è una strada costellata di contraddizioni, o meglio da una, decisiva, contraddizione. Se il senso dei biocarburanti è quello di ridurre i gas-serra, il fine è in gran parte fallito perché sono sempre più numerosi gli studi che dicono che per far spazio alle nuove colture, bisogna azzerare vasti territori boschivi o aree di agricoltura tradizionale, entrambe molto più “sanificanti” per l'aria.
L'obbiettivo di ridurre la dispersione di anidride carbonica nell'atmosfera, quindi, deve seguire anche altre vie. Affascinante quella percorsa alla Rice University di Houston, in Texas. Lì hanno guardato con occhi talmente attenti l'ammoniaca che hanno scoperto una sua particolarità. L'ammoniaca è un gas, facilmente trasformabile in liquido, grazie a lievi alterazioni della pressione e della temperatura. La formula chimica è NH3, cioè un atomo di azoto e tre di idrogeno. Se la molecola è colpita con la luce del laser, i legami si rompono e si libera l'idrogeno, elemento che può fare da propulsore per i motori. Una tecnologia che esiste già per alcuni veicoli e che, anzi, viene considerata il vero traguardo ultimo dell'automotive, ma che al momento è ancora troppo costosa per una diffusione di massa. E il bello è che la liberazione e l'utilizzo dell'idrogeno come propellente ha come sottoprodotti residui, solo vapor acqueo e azoto, elemento quest'ultimo, assolutamente “naturale” visto che costituisce l'80% dell'aria.
L'attivazione chimica perseguita dagli studiosi texani tra l'altro ha un vantaggio economico: la scomposizione molecolare perseguita con le metodologie classiche, cioè con il calore, necessita del 75% in più di energia rispetto a quella spesa con la “via della luce”. Una possibile grande convenienza economica che può attrarre le grandi case automobilistiche, anche se è ovvio che non sarà facile mantenere quel 75% di risparmio ottenuto in laboratorio anche sulla produzione di motori su larga scala. Ma l'obbiettivo è individuato. E, con grande sorpresa generale, la soluzione per un sistema di trasporto super pulito, che emette solo vapor acqueo, non passerà per fonti energetiche “naturali” ma attraverso la sintesi chimica.
Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su LA STAMPA