Martedì 5 giugno il Senato francese ha approvato la riforma della Sncf, con un testo molto emendato rispetto alla prevista apertura del settore ferroviario alla concorrenza dal 2020 e la trasformazione in una compagnia nazionale con capitale pubblico. Basterà questo per mettere fine allo sciopero che finora è costato circa 400 milioni di euro? Probabilmente no, ecco perché.
In primo luogo il comitato congiunto l’11 giugno dovrà ratificare le modifiche decise dal Senato: ci sono ancora una dozzina di punti tecnici su cui vi sono divergenze con l’Assemblea nazionale. Inoltre, nonostante i sindacati abbiano giocato un ruolo-chiave nella stesura degli emendamenti adottati dal Senato, come prova di forza sarebbero comunque pronti a chiedere una nuova “giornata senza lavoratori delle ferrovie” il 12 giugno.
Il ddl prevede una graduale apertura del settore ferroviario nazionale: dal 2020 l'alta velocità (Tgv), tra il 2019 e il 2023 i treni regionali (Ter), dal 2025 ulteriori linee e, infine, dal 2033 tutte le altre. Il 31 dicembre 2020, invece, è prevista la fine dello status di “impiegato dello Stato” per i ferrovieri, come hanno messo nero su bianco i senatori. Sul fronte degli investimenti il governo Macron ha annunciato 200 milioni di euro per la manutenzione dal 2022, portando l’impegno annuale a 3,6 miliardi di euro, così come il recupero di 35 miliardi di euro del debito di Sncf Réseau.
I senatori hanno votato a favore della creazione di un “perimetro sociale ferroviario”, che consenta ai lavoratori del comparto di beneficiare di misure di mobilità interna e altre garanzie, con attenzione ai trasferimenti e agli scaglioni relativi alla retribuzione. Tuttavia, i sindacati mirano ad ottenere di più, ci sono ancora disaccordi tecnici e, pertanto, si prevedono ancora richieste di cambiamenti in vista della stesura della legge durante la Commissione mista paritaria l’11 giugno. Riforma in dirittura d’arrivo?