In Italia le tasse e i contributi dei lavoratori stranieri valgono 18 miliardi e c’è un basso impatto sulla spesa pubblica: il saldo costi/benefici è di +500 milioni. È quanto emerge dall’edizione 2020 del Rapporto annuale sull’economia dell’Immigrazione a cura della Fondazione Leone Moressa.
Oggi gli occupati stranieri in Italia sono 2,5 milioni e negli ultimi dieci anni sono aumentati di 600 mila unità (+31% dal 2010). È un’occupazione concentrata prevalentemente nelle professioni meno qualificate, pertanto al momento è complementare rispetto all’occupazione italiana.
I lavoratori stranieri sono prevalentemente uomini (56,3%) e 7 su 10 hanno un’età compresa tra 35 e 54 anni. Oltre la metà ha come titolo di studio la licenza media, mentre solo il 12% è laureato. Il valore aggiunto generato dai lavoratori stranieri è di 146,7 miliardi di euro, pari 9,5% del Pil. Valore ridimensionato, evidenzia il Rapporto, da presenza irregolare, lavoro nero e poca mobilità sociale. Altro aspetto messo in evidenza è che gli stranieri sono in aumento, ma gli ingressi per lavoro sono in calo.
Per quanto riguarda l’impatto fiscale per l’Italia ci sono più benefici che costi. I contribuenti stranieri in Italia sono 2,29 milioni e nel 2019 hanno dichiarato redditi per 29,08 miliardi e versato Irpef per 3,66 miliardi. Sommando addizionali locali e contributi previdenziali e sociali si arriva a 17,9 miliardi. Oggi il saldo tra entrate (Irpef, Iva, contributi, ecc.) e costi (scuola, sanità, pensioni, ecc.) dell’immigrazione è ancora positivo (+500 milioni). Gli stranieri sono giovani e incidono poco su pensioni e sanità, principali voci della spesa pubblica.