Tecnologia e politica sono i due principali fattori che hanno cambiato in questi ultimi anni il commercio globale. A sostenerlo è Andrea Fracasso, direttore della Scuola di studi internazionali dell’Università di Trento. E l’effetto è duplice: molti paesi già inseriti nella catena del commercio mondiale ne hanno risentito; altri emergenti ne hanno tratto vantaggio.
Il presidente statunitense Donald Trump imputa alla Cina manipolazioni del cambio, aiuti di stato, estorsione e furti di tecnologia estera, discriminazione all’attività di aziende americane in Cina, minacce alla sicurezza nazionale. “Ma la risposta unilaterale – ha spiegato Fracasso – da parte degli Usa è consistita soltanto in una politica di dazi alle importazioni cinesi e blocchi agli investimenti cinesi negli Stati Uniti”.
E probabilmente la scelta di Washington non servirà a raggiungere lo scopo di stoppare l’avanzata di Pechino. “Il tentativo americano di frenare la Cina – ha detto Daniel Gros, economista del Centre for European Policy Studies di Bruxelles – è destinato al fallimento. All’Europa conviene tenere un profilo basso”. C’è, poi, un aspetto paradossale evidenziato da Alessia Amighini dell’Ispi, esperta di mercati asiatici: “Gli Stati Uniti dalla Cina importano soprattutto componenti, più che prodotti finiti”.
Ma come possono cambiare gli scenari mondiali? La globalizzazione sta mostrando limiti strutturali: ha ridotto la povertà a livello mondiale ma è aumentata all’interno dei singoli paesi. Il futuro è probabilmente rappresentato dalla nascita di blocchi “regionali”: l’Unione Europea è già uno di questi.