L’oro rosa stretto tra epidemie, equilibri di mercato e geopolitica. La storia comincia dalla peste suina africana (mortale per gli animali, ma innocua per le persone) che, partendo dall’Est Europa, ha decimato i capi fino in Cina. E non da ieri.
Da oltre un anno il più grande consumatore al mondo di carne di maiale prova, senza riuscirci, a contenere l'epidemia. Secondo Confagricoltura, si stima che dei 440 milioni di maiali cinesi il 20% sia stato abbattuto.
Il risultato è stato un aumento del prezzo del 50% da gennaio sul mercato asiatico. E il massiccio ricorso alle importazioni. Nei giorni scorsi, Pechino ha messo mano alle riserve di carne congelata proveniente dall’estero per 10 mila tonnellate.
Gli effetti si sono poi propagati in tutto il mondo, amplificati dall'intreccio con la guerra commerciale tra Usa e Cina. In risposta alle mosse di Washington, Pechino aveva portato i dazi sul maiale statunitense al 72%. Ma ora la seconda economia al mondo sarà probabilmente costretta a rivedere tale decisione.
Nel primo semestre del 2019, l’Ue ha visto crescere l'export di carni suine verso la Cina del 42%, arrivando a pesare per quasi la metà del totale. Ad approfittarne soprattutto Germania e Spagna, mentre fuori dall’Ue è il Brasile a guidare la classifica.
La crisi cinese sulla Via del suino ha inevitabilmente gonfiato i prezzi. La quotazione della carne rosa è risalita a 1,66 euro al chilo, contro i minimi sotto gli 1,2 euro di inizio anno e di nuovo ai livelli del 2017. Ma per l’Italia potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio visto che il nostro Paese produce solo il 60% della carne che trasforma o consuma.