Nonostante le prove di forza della Russia, che attraverso la chiusura dei rubinetti del gas di Polonia e Bulgaria minaccia l’Europa intera, le prospettive per l’economia di Mosca si fanno cupe per ammissione dello stesso Governo che prevede per quest’anno una contrazione del Pil dell’8,8%.
L’Ue intanto si accinge a varare il sesto pacchetto di sanzioni, focalizzato sull’embargo (graduale) al petrolio russo. Ma se trovare una piena convergenza di vedute non è semplice a livello comunitario, lo è a maggior ragione in seno al G20. Eppure sarebbe urgente trovare soluzioni per arginare una crisi del debito nei Paesi in via di sviluppo, che potrebbe peraltro mettere a repentaglio la transizione green in questi Stati.
Continua allo stesso tempo una fase preoccupante per l’economia cinese, anche a livello finanziario: da alcuni mesi è in atto una fuga di capitali senza precedenti, frutto della normalizzazione monetaria della Federal Reserve (la Banca centrale statunitense), ma anche dell’incertezza legata alle prospettive del rapporto di Pechino con Mosca ed a possibili sanzioni secondarie. Ecco, quest’ultimo aspetto, qualora attuato, cambierebbe radicalmente il quadro macroeconomico internazionale, molto più di quanto finora determinato dalle sanzioni sino ad ora adottate contro la Russia.
Un dato è invece certo: la crescita economica mondiale (misurata in termini relativi) è destinata a scendere. Ma tra Eurozona, Cina e Usa chi frena il Pil globale? Il seguente grafico fornisce una risposta.