Un vero e proprio tradimento. Per i curdi-siriani il ritiro dei militari Usa dalla Siria settentrionale - una sorta di via libera all’invasione militare iniziata mercoledì 9 ottobre dall’esercito turco - appare un altro voltafaccia di Washington ai danni di un alleato considerato in qualche modo scomodo. La storia dei curdi è la storia di grandi illusioni seguite da enormi delusioni.
Il “grande Kurdistan” è sempre stato, soltanto, un sogno. Anche quando il Kurdistan iracheno aveva indetto un referendum, il 25 settembre 2017, votando a favore dell’indipendenza dall’Iraq, di fatto mai avvenuta. Nessuno voleva il Kurdistan iracheno. Ma è anche vero che nessuno sembra interessato a un Kurdistan siriano indipendente. Soprattutto Ankara. Erdogan teme che uno scenario di questo tipo possa alimentare le aspirazioni secessioniste dei circa 20 milioni di curdi presenti sul proprio territorio.
Il popolo curdo - 35-40 milioni - è probabilmente il più grande gruppo etnico senza uno Stato, sparso su un territorio che comprende Turchia, Siria, Iraq e Iran. Dalla scoppio della rivolta contro il regime siriano (2011) il nord-est della Siria è diventato di fatto autonomo. È qui che è scattata la campagna turca volta a creare una fascia di sicurezza a ridosso del confine.
Eppure, i curdi hanno avuto un ruolo chiave contro l’Isis. Di fronte all’offensiva dell’Isis nel 2014, chi salvò il secondo centro petrolifero iracheno furono proprio le milizie curdo-irachene. Pochi mesi dopo, gli Usa si misero alla testa di una coalizione internazionale (solo raid aerei) contro l’Isis. Fu proprio ai curdi, quelli siriani stavolta, a cui si rivolse Washington. Nessun Paese che partecipava alla missione intendeva dispiegare i propri soldati.
Le Ypg, le milizie curdo siriane, così riconquistarono le città sotto il controllo dell’Isis. Ci riuscirono, ma pagarono un elevato tributo di sangue. Mentre nell’estate del 2017 i curdi iracheni si rendevano protagonisti della liberazione di Mosul (la roccaforte irachena dell’Isis), in autunno le Ypg riconquistaro Raqqa (la capitale dell’Isis). I curdi-siriani controllavano così un territorio pari 1/4 della Siria, che comprendeva i pozzi petroliferi in mano al regime di Damasco fino al 2012.
Fin troppo per Erdogan. Ai suoi occhi le Ypg sono sempre state la costola siriana del Pkk, gruppo separatista curdo attivo in Turchia. Quindi “terroristi”. Con il pretesto di allontanare l’Isis dal confine, Ankara diede così il via nel 2016 all’Operazione “Scudo dell’Eufrate”. Soltanto 10 mesi dopo Erdogan riaprì le ostilità con la campagna “Ramoscello d’Ulivo”.
Poi, lo scorso mese di agosto, Trump ed Erdogan hanno trovato un’intesa per rendere “stabile” il confine turco-siriano, creando una zona di sicurezza il cui obiettivo era separare le forze curde da quelle turche. Le Ypg hanno cominciato a lasciare il campo. Meno di due mesi dopo, Trump si è rimangiato l’accordo. E per i curdi-siriani le cose hanno preso una brutta piega.
Al di là delle dichiarazioni di condanna e delle minacce di sanzioni, chi è disposto ad aiutare i curdi-siriani accettando il rischio di un nuovo conflitto e di una crisi con Ankara? Probabilmente nessuno.