A sud di Budapest, nei pressi di una vecchia area industriale dismessa, l’Ungheria pianifica il primo gigantesco campus universitario cinese in Europa. L’ateneo Fudan sorgerà entro i prossimi tre anni. Ospiterà 8 mila studenti e 500 accademici su un’area di 520 mila metri quadri. Un (altro) progetto megalomane da 1,5 miliardi di euro (1,3 mld saranno finanziati dalla Cina). Il problema - secondo il sindaco di Budapest, Gergely Karácsony - è che “lascerà persino i nostri nipoti pieni di debiti”.
Lo schema è sempre lo stesso, fondato su maxi prestiti che i paesi beneficiari scoprono quasi sempre strada facendo di non poter restituire aprendo la via a una sorta neo-colonizzazione da parte di Pechino. Un film già visto più volte (soprattutto in Africa) e in ultimo anche in Europa con il Montenegro, rimasto intrappolato nel debito cinese.
Il caso ungherese non è poi così recente. Negli ultimi dieci anni Orbán ha sottoscritto una serie di contratti che secondo l’American Enterprise Institute (AEI) si traducono, in sostanza, in una ‘trappola del debito’ con la Cina. Huawei, il colosso delle telecomunicazioni cinese buttato fuori dalle reti di mezza Europa perché sospettato di spionaggio, ha annunciato già nel 2011 che avrebbe stabilito il suo quartier generale della logistica in Ungheria. In tutto, gli accordi ungheresi con Pechino valgono oltre 5 miliardi di euro.
Le conseguenze degli accordi economici e commerciali sull’asse Budapest-Pechino si sono già fatte sentire anche in Europa: Orbán ha bloccato i tentativi dell’Ue di condannare gli abusi cinesi a Hong Kong, ha posto il veto su una protesta formale contro le torture di avvocati detenuti nelle carceri del Dragone e ha frenato le iniziative contro le prepotenze di Pechino nel Mar Cinese Meridionale. Ed è un trend destinato a peggiorare, di pari passo con il crescere della dipendenza finanziaria dalla Cina.