“Preparate per combattere”: è questa l’attuale situazione delle truppe dell’esercito serbo schierate dal presidente Aleksandar Vucic lungo il confine con il Kosovo. Per Belgrado, infatti, le comunità etniche serbe che vivono nel piccolo paese confinante potrebbero essere a rischio di un attacco imminente. Dal canto suo, il governo kosovaro guidato da Albin Kurti non ha ancora risposto a queste accuse.
Nei giorni scorsi, la prima ministra serba aveva dichiarato di essere ormai “sulla soglia di un conflitto armato”. Il timore della comunità internazionale è che tornino le violenze in una zona già flagellata. Il Kosovo ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza nel 2008, a seguito della guerra del 1998-1999. Nonostante sia un paese a maggioranza albanese, all’interno del territorio kosovaro vivono circa 100.000 serbi.
Ad aggravare una situazione già infiammabile era stata la disputa sulle targhe automobilistiche: Pristina chiedeva che anche i serbi che vivono all’interno del suo territorio abbandonassero quelle di Belgrado, sostituendole con quelle della “Repubblica del Kosovo”.
A fine novembre i due paesi, con la mediazione di Stati Uniti e Ue, avevano raggiungo un accordo: Belgrado avrebbe bloccato le emissioni di nuove targhe, mentre Pristina non avrebbe sanzionato i veicoli circolanti con quelle già esistenti. Tuttavia, non sembra essere stato abbastanza per calmare gli animi.
Alla base delle ricorrenti tensioni vi è l’indipendenza unilaterale che Pristina ha dichiarato nel 2008. Nonostante fra Serbia e Kosovo esista, dal 2013, un “processo di normalizzazione dei rapporti” mediato dall’Ue, questo non ha ancora portato ad alcun risultato concreto.
L’incapacità di trovare una soluzione è anche specchio delle frizioni che spaccano le comunità internazionali: il Kosovo non è mai stato riconosciuto da Russia e Cina. Ma nemmeno da cinque paesi membri dell’Ue, tra cui Spagna e Slovacchia.
In un quadro balcanico così fragile, è proprio l’Ue a uscirne ridimensionata, visto che la sua capacità di influenza si è ridotta drasticamente con gli anni. Al contempo, il processo di integrazione è ormai nel limbo.
La Serbia, in particolare, ha richiesto di poter aderire all’Unione nel 2009 e ha iniziato le negoziazioni nel 2014. Tuttavia, le sue scelte di politica estera l’anno trasformata in una rappresentante del filorussismo nel Vecchio continente. Il paese dipende infatti da Mosca dal punto di vista diplomatico ma anche economico: è dalla Federazione Russa che giunge l’85% del suo import di gas.
Belgrado ha infatti optato per una posizione di neutralità nel conflitto con l’Ucraina, decidendo di non introdurre le sanzioni contro Mosca. Una scelta che ha portato Josep Borrell, alto rappresentante dell’Ue, ad affermare che le politiche del paese sono discordi da quelle dell’Unione e stanno bloccando l’avanzamento della procedura di ingresso.