Alcune aziende di Taiwan nel comparto dei microchip stanno rifornendo di semiconduttori la Cina, ovvero il suo principale rivale sotto il profilo geo-politico. La notizia assume un connotato ancora più rilevante se si considera che alcune aziende localizzate dell’isola stanno sostenendo il programma di rilancio e avanzamento tecnologico della cinese Huawei (il colosso da tempo nel mirino soprattutto degli Stati Uniti), mirato a costruire le infrastrutture per una rete di impianti di produzione di chip nel sud della Cina.
Non solo. Secondo Bloomberg, nei siti targati Huawei lavorano diverse unità di aziende taiwanesi. C’è poi un altro più o meno apparente paradosso. “I chip costruiti con l’aiuto di aziende taiwanesi potrebbero essere utilizzati nei missili cinesi potenzialmente diretti a Taiwan”, ha dichiarato alla testata statunitense Li Jung-Shian, professore di ingegneria elettrica presso la National Cheng Kung University di Tainan.
In realtà, occorre precisare che il colosso taiwanese Tsmc ha rifornito a lungo Huawei prima che entrassero in vigore le restrizioni degli Stati Uniti. Dunque, non è un’effettiva novità. Ma è pur vero che un conto è esportare microchip, un altro sostenere attivamente “sul campo” i piani di ammodernamento di quella che – secondo la versione di Washington - è una tra le principali minacce per Taipei, considerati i presunti collegamenti di Huawei con l’esercito popolare di liberazione cinese.
Negli ultimi mesi, tuttavia, le prese di posizione esplicite di imprenditori, ma anche di funzionari taiwanesi contro il disaccoppiamento tra i due Paesi sono aumentate. Per il ministero dell’Economia di Taipei, è “impossibile” un decoupling tecnologico totale dalla Cina. Il divorzio che sembrava imminente è sulla via del rientro?