A pochi giorni dalla conferenza di Berlino la tregua in Libia è saltata. E i due fronti, quello del governo di Tripoli di Fayez al Serraj e quello del generale Khalifa Haftar, stanno accumulando armi e mercenari in quantità notevoli.
Due navi da guerra turche sono entrate in porto a Tripoli. Hanno scortato un mercantile che ha scaricato nella capitale libica carri armati, blindati e altri mezzi militari destinati agli uomini di Serraj.
Dall’altra parte Haftar continua a bombardare la periferia Sud di Tripoli (4 bambini sono morti per un razzo caduto nel cortile di una scuola) e a stringere l’assedio sulla città di Misurata.
L’instabilità è salita a tal punto da spingere il presidente francese Emmanuel Macron ad accusare direttamente il suo omologo turco: “Erdogan non mantiene la parola data”.
Anche l’Italia ha inviato un messaggio alla Turchia: il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha telefonato al suo collega Mevlut Cavusoglu per dirgli che “il continuo flusso di armamenti verso entrambe le parti del conflitto e il blocco della produzione petrolifera minano ulteriormente le prospettive di una soluzione pacifica della crisi in Libia”. Di Maio cita anche il blocco del petrolio deciso da Haftar, un vero e proprio “atto di guerra” messo in atto già 2 giorni prima della conferenza di Berlino.
E sul greggio si è espresso con durezza anche l’ad dell’Eni Claudio De Scalzi: “Con il blocco della produzione di petrolio è come togliere aria alle persone. Siamo a 12 giorni di produzione bloccata, ma quello per la Libia è ossigeno”.