Il Pil pro capite dell'Italia è ai livelli del 1998, circa 26.300 euro per italiano. La mancanza di riforme, l'instabilità politica, l'adozione dell'euro e la grande recessione hanno paralizzato lo Stivale.
Eppure aveva cominciato bene entrando nell’euro come parte del gruppo di paesi ad alto reddito, poi l’Italia si è persa e ha registrato la peggiore performance di tutte le economie della zona euro, seguita dalla Grecia. I primi progressi, ottenuti nel periodo 1999-2007, sono stati di fatto annullati dalla doppia crisi che l’eurozona ha sofferto nel 2007 e nel 2012. Il debito pubblico è schizzato dal 99,8% del Pil nel 2007 al 134,1%.
Secondo Eurostat, il Pil pro capite dell’Italia nel 1998 era di 26mila euro, non lontano da quello tedesco (28mila) e superiore alla media dell’eurozona (25.600). La fotografia scattata nel 2017 evidenzia un’inversione: 26.300 euro in Italia rispetto ai 30.300 nell’eurozona e 35.300 in Germania.
L’economia italiana è ora produttiva quanto lo era all’inizio degli anni ‘90, si legge in un documento della banca tedesca Commerzbank. Poi l’Ocse ci mette il carico da 11: tutti i settori mostrano la stagnazione della produttività reale per ora lavorata, qualcosa che non ha precedenti nei paesi sviluppati.
Le banche finanziano il governo italiano attraverso la concessione di prestiti e l’acquisto di obbligazioni del settore pubblico, che però sostituiscono la domanda di credito del settore privato.
La lentezza della macchina amministrativa e la complessità del processo civile ostacolano l’efficace riallocamento di capitale e lavoro che non riescono a spostarsi rapidamente verso settori o aziende più produttivi. Poi c’è la corruzione. Transparency International colloca l’Italia, insieme a Cuba, al 60° posto tra i 180 paesi esaminati.
D’altra parte, la spesa in ricerca e sviluppo è la più bassa dell’Ue: 1,29% del Pil a fronte del 2,13% della zona euro.