Paradossi peruviani: l’economia è stabile, ma resta un paese povero e iniquo

Il Perù è alle prese da lungo tempo con una grave crisi politica. Dal 2016 si sono succeduti sei presidenti. La politica non è riuscita a rilanciare il paese che resta iniquo e povero

Paradossi peruviani: l’economia è stabile, ma resta un paese povero

Il Perù vive da lungo tempo una profonda crisi politica. Le proteste iniziate a dicembre ne sono solo l’ultimo episodio. L’instabilità del paese sudamericano, infatti, prese avvio trent’anni fa sotto il governo di Alberto Fujimori. Eletto democraticamente, sciolse il parlamento nel 1992, e cambiò il sistema giudiziario. Restò al potere fino al 2000, ma poi fu condannato per corruzione, appropriazione indebita e crimini contro l’umanità.

In seguito, i tre presidenti che governarono dal 2001 al 2016 furono tutti indagati per corruzione. E, dal 2016 a oggi, si susseguirono sei presidenti. Un po’ troppo forse per una repubblica presidenziale com’è quella peruviana. Durante il mandato del penultimo presidente, Pedro Castillo, furono nominati in appena sedici mesi 78 ministri e, a inizio dicembre, provarono a sospendere il Parlamento, guidando un auto-colpo di stato e formando un governo di emergenza. Il tentativo è stato respinto dal Parlamento, Castillo è stato arrestato e condannato a un anno e mezzo di carcere. Dina Boluarte, fino ad allora vicepresidente, è stata nominata presidente.

Nonostante il terremoto politico, negli ultimi due decenni il Perù è riuscito a mantenere una certa stabilità macroeconomica, grazie anche all’indipendenza della banca centrale. Il suo governatore, Julio Velarde, è in carica dal 2006, confermato nel ruolo da otto diversi presidenti. Durante il suo mandato il sol peruviano è stato tra le monete più stabili del Sudamerica e si è deprezzato solamente del 5% rispetto all’euro. Le valute di Cile, Messico e Colombia hanno ceduto, nello stesso periodo, più di un quarto del loro valore, mentre il real brasiliano persino la metà.

Il rapporto debito/Pil (32%) è il più basso tra tutti i paesi del continente. Lo spread con i titoli del tesoro statunitense si è mantenuto stabile intorno ai 200 punti, un dato inferiore al Brasile (250), Colombia e Messico (360), Argentina (1.800). Il Banco Central de Reservas de Perù è poi riuscito ad accumulare riserve in dollari per quasi 75 miliardi di dollari, quasi un terzo del Pil. Negli ultimi vent’anni il Pil pro capite misurato a prezzi costanti è raddoppiato da 3.200 a 6.400 dollari.

Allo stesso tempo, la popolazione in povertà monetaria è scesa dal 55 al 25%. Eppure, nonostante le favorevoli condizioni macroeconomiche, la politica non è riuscita a rilanciare il paese che resta iniquo e povero. Il reddito pro capite è meno della metà rispetto al Cile e quasi tre lavoratori su quattro lavorano informalmente. La sfida per il Perù è quella di ricostruire la politica, senza alterare la stabilità macroeconomica. Una partita difficile.

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