Se ci fosse una nuova crisi delle catene internazionali di approvvigionamento, l’Italia riuscirebbe a difendersi peggio rispetto agli anni ‘90. Questo lo si vede dal posizionamento strategico dell’economia italiana a livello globale, osservabile con due indicatori: la sua rilevanza e dipendenza strategica, elaborati dall'Istat nel Rapporto annuale del 2024.
La rilevanza strategica misura quanto gli input per la produzione, come materie prime o semilavorati, prodotti in Italia, vengono infine utilizzati per le produzioni all’estero; la dipendenza strategica è invece il contrario, ossia quanti input usati nelle produzioni italiane sono acquistati all'estero.
Tra il 1995 e il 2008, periodo in cui tra l’altro è avvenuto un notevole allargamento dell’Unione europea, sia la dipendenza sia la rilevanza strategica sono aumentate per l’Italia.
Dal 2008 in poi, però, è avvenuto un cambiamento: la dipendenza strategica ha cominciato ad aumentare in modo graduale, segno che le produzioni nazionali fanno sempre più affidamento sui prodotti esteri, mentre la rilevanza è diminuita, il che significa che i prodotti italiani sono sempre meno usati nelle produzioni estere. La dipendenza dell’Italia verso l’estero è cresciuta di circa 1,8 volte dal 1995 al 2020 (è salita soprattutto nei confronti della Cina; di 13,4 volte).
Allo stesso tempo, l’Italia mantiene comunque la sua posizione di paese esportatore netto. Questo è stato possibile grazie al fatto che, per quanto la dipendenza dall’estero sia aumentata nel tempo, le industrie italiane contano ancora di più sulle materie prime locali rispetto a quelle straniere.
Tuttavia, il rapporto tra rilevanza e dipendenza è diminuito nel tempo: per quanto resti positivo (con una rilevanza strategica tre volte superiore alla dipendenza), il valore si è dimezzato rispetto al 1995. Ciò implica che l’Italia è ancora in grado di tutelarsi da possibili crisi lungo le catene internazionali di approvvigionamento, ma non come la fine del secolo scorso.
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