L'aumento delle tensioni commerciali tra gli Stati Uniti e il resto del mondo potrebbe costare all'economia mondiale 430 miliardi di dollari. E gli Stati Uniti potrebbero ritrovarsi al centro di una "rappresaglia globale". L'avvertimento proviene dall'Fmi.
Secondo l'organizzazione con sede a Washington la crescita globale potrebbe diminuire dello 0,5% entro il 2020. E gli Usa rischiano di pagare la parte più salata del conto, anche se l'economia a stelle e strisce continuerà ancora ad aumentare per 1-2 anni sotto la spinta della riforma fiscale e dall'aumento della spesa pubblica. Poi la lunga ripresa ciclica farà il suo corso e gli effetti dello stimolo fiscale cominceranno a calare.
L’ampia espansione dell’economia mondiale, iniziata due anni fa, si è ormai stabilizzata e sta cominciando a indebolirsi. Ciò nonostante, il Fondo conferma le stime su una crescita globale del 3,9% per quest'anno e il prossimo. Forti rallentamenti, invece, sono previsti per Ue, Regno Unito e Giappone. L’economia nipponica dovrebbe raffreddarsi fino a scendere all’1%, segnando così il tasso di crescita più lento tra i paesi avanzati.
Germania, Francia e Italia sono i paesi europei che hanno subito i downgrade più rilevanti sulla crescita del 2018, pari allo 0,3% rispetto alle previsioni di aprile. Mentre il Pil nell'eurozona quest'anno dovrebbe rallentare al 2,2%, rispetto alla previsione iniziale del 2,4%.
Continueranno a mostrare i muscoli per i prossimi due anni le economie emergenti con un Pil al 4,9% per il 2018 e al 5,1% per il 2019. La Cina avrà un Pil del 6,6%, mentre alcuni paesi dell'America Latina, dell'Europa dell’Est e dell'Asia, stanno subendo l’aumento del prezzo del petrolio, che ha avvantaggiato gli esportatori (tra i quali i paesi del medio-oriente e la Russia), ma danneggiato gli importatori (come l'India).
La crescita nell'Africa sub-sahariana supererà quella della popolazione nei prossimi due anni, consentendo ai redditi pro-capite di salire in molti paesi. Tuttavia appare come un miraggio irraggiungibile il boom avuto negli anni 2000.
Oltre all'immediata minaccia dei più deboli livelli del commercio internazionale, il Fondo monetario internazionale ha affermato che un maggiore ricorso a misure protezionistiche potrebbe ostacolare gli investimenti delle imprese, interrompere le catene di approvvigionamento globali, rallentare la diffusione delle tecnologie (che sono alla base dell'incremento della produttività) e aumentare il prezzo dei beni di consumo.
A ciò occorre aggiungere l'insoddisfazione crescente verso una globalizzazione che non è riuscita a diventare inclusiva, come dimostra l'esplosione dei partiti anti-sistema in alcune economie avanzate. E le banche centrali, a partire dalla Fed, stanno cominciando ad aumentare i tassi di interesse, dopo averli tenuti prossimi allo zero per anni, decretando così la fine delle politiche monetarie espansive. Riuscirà a trovare un nuovo equilibrio l'economia mondiale? E sarà spostato sempre più verso oriente?