La globalizzazione ha consentito di fronteggiare molti shock cambiando in corsa fornitori e mercati di sbocco ma ha anche reso l’economia mondiale più vulnerabile a crisi sistemiche.
A livello aggregato, l’import costituisce l’11% della produzione lorda e meno del 30% del Pil, tuttavia il rapporto tra import e fabbisogno oscilla tra il 29 e il 58% per i derivati del petrolio, la chimica, la gomma, la farmaceutica, la metallurgia di base, la carta, i mezzi di trasporto, gli apparecchi elettrici e i computer.
Le importazioni rappresentano meno del 20% del fabbisogno totale per oltre il 60% della produzione; la dipendenza supera il 30% solo per il 15% dell’output; il rapporto tra import e output sale oltre il 40% per appena il 5% della produzione.
“Sono invece meno tranquillizzanti i dati sugli input intermedi necessari a produrre ciascuna merce o servizio – spiega Enrico D’Elia -. Proviene dall’estero per esempio il 90% del fabbisogno di petrolio, gas, minerali e prodotti della pesca utilizzati come materie prime o semilavorati in settori come petrolchimica, metallurgia, energia, servizi sanitari, industria estrattiva e alimentare. I prodotti agricoli importati condizionano nella stessa misura il tessile e abbigliamento.”
Tuttavia, “a vincolare l’industria italiana non sono solo le importazioni delle materie prime di cui siamo carenti - aggiunge D'Elia -. Il settore dei trasporti e la Ict, per esempio, dipendono per oltre il 90% da computer, macchine elettriche e altre attrezzature provenienti dall’estero. I servizi assicurativi e finanziari di importazione risultano altrettanto essenziali per la Ict, la carta (compresi gli imballaggi), la produzione di mezzi di trasporto speciali (navi, aerei, etc.), vetro e materiali da costruzione.”
La lista dei settori fortemente dipendenti dall’estero si allunga se si considerano soglie di importazione inferiori al 90% del fabbisogno di ciascun input intermedio.
I vantaggi comparativi e le dotazioni naturali sconsigliano di produrre tutto in casa ma sarebbe da evitare una eccessiva dipendenza dalla disponibilità e dai prezzi di prodotti strategici come quelli informatici, che dovrebbero invece far parte dei settori di punta di un’economia altamente sviluppata.