Le conoscenze economiche non riescono a confluire nel dibattito politico e l’opinione pubblica è spesso vittima di pregiudizi in netto contrasto con la scienza economica. Un libro di Pierre Cahuc e André Zylberberg illustra il problema.
Le idee degli economisti sono spesso ricondotte, tutte, ad un pensiero unico, adagiato sull’ideologia neoliberista che vede il mercato come la soluzione a tutti i problemi. Ma le cose non stanno in questi termini, come ci ricorda la battuta di Winston Churchill: “Se metti due economisti in una stanza, hai due opinioni, a meno che uno di loro sia Lord Keynes, nel qual caso hai tre opinioni”.
Il populismo, di destra come di sinistra, è miope. Il caso italiano offre vari esempi: la moneta fiscale come antidoto all’euro, la flat tax al 15 per cento, l’affermazione che un aumento della spesa pubblica finanziato in disavanzo sia compatibile con la discesa del debito pubblico. Queste affermazioni si scontrano con l’evidenza mostrata dalle scienze sociali. Ecco allora che conviene screditare gli economisti e accusarli di essere ideologici. È un modo per evitare di fare i conti con la realtà.
Ad esempio, chi invoca una nuova politica industriale in realtà sta spesso cercando protezione dalla concorrenza o sussidi per tenere in vita imprese non competitive. Numerosi studi, invece, mostrano come i sussidi alle imprese sono generalmente inefficaci: si finanziano investimenti che sarebbero stati effettuati in ogni caso e, al contempo, si introducono distorsioni nel mercato. Sarebbe meglio pensare a politiche strutturali, ad esempio, in settori strategici come istruzione, giustizia e trasporti. Suggerimento, ovviamente, ignorato nel dibattito politico.