Le catene di fornitura globale negli ultimi anni hanno vissuto periodi di forte stress a causa della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e della pandemia. Poi è arrivata l’invasione russa dell’Ucraina che sta provocando interruzioni delle forniture di alcuni beni e contribuendo a generare ulteriori aumenti dei prezzi delle materie prime.
Oltre alle immani conseguenze umane, il conflitto ucraino porta, da un lato, all’occupazione militare di (parte) delle regioni maggiormente produttive del paese e dall’altro al blocco dei porti dai quali transita la maggior parte delle esportazioni ucraine, creando una minore disponibilità di beni precedentemente esportati dal paese nei mercati esteri. In questo caso, inoltre, i prodotti maggiormente colpiti sono solo in parte finiti o semilavorati ma si tratta in larga parte materie prime, alcune delle quali essenziali per determinate filiere produttive.
In un quadro nel quale la rilocalizzazione delle produzioni è un trend in atto ormai da alcuni anni, nonostante non abbia ancora una dimensione adatta al recupero di tutte le produzioni precedentemente delocalizzate, il conflitto ucraino unitamente alla ripresa del Covid in Cina possono dunque favorire ulteriori progetti di rientro delle produzioni o più probabilmente fenomeni di friendshoring, cioè lo spostamento di produzioni da paesi considerati non più affidabili o che non condividono valori comuni con l’Occidente a Stati (anche in via di sviluppo) che abbiano una politica di relazioni internazionali simili a quelle occidentali.
Ad esempio i pacchetti di sanzioni statunitensi, in particolare per quanto concerne le restrizioni alle esportazioni, comprendono eccezioni per paesi partner che applicheranno sanzioni simili. Pertanto, questa tendenza potrebbe trasformarsi in un trattamento ancora più favorevole a livello commerciale.
Se consideriamo l’Asia, gli effetti della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina (nonostante la ripresa delle importazioni statunitensi dalla Repubblica Popolare che, nel 2021, hanno superato i livelli rilevati nel 2019) hanno finora portato a un forte aumento dell’import degli Usa dal Vietnam (cresciuto del 100% dal 2017), dalla Thailandia e dalla Corea del Sud.
E anche se le produzioni attualmente realizzate in Cina e nei paesi dell’Estremo Oriente e dirette ai paesi occidentali non verranno totalmente abbandonate a favore del reshoring, le imprese europee probabilmente aumenteranno i progetti di nearshoring in Turchia e negli Stati del Nord Africa a scapito dell’Estremo Oriente e in misura minore continueranno a rilocalizzare nei paesi di origine parte delle produzioni precedentemente realizzate in Estremo Oriente. La rilocalizzazione massiccia delle produzioni nei paesi di origine, infatti, appare ancora difficile a causa degli alti costi energetici in Europa che stanno rallentando anche progetti di rilocalizzazione già avviati.