Crescita economica, dopo l'Asia c'è l'Africa

Dall'inizio del secolo, l'Africa ha avuto un Pil annuo del 4,7%. Seppur rilevante, l'incremento non è stato tale da riuscire ad innescare cambiamenti strutturali nella macroregione

Dopo l'Asia è il continente a più alta crescita

Favorevole andamento dei prezzi delle materie prime, forte domanda interna e strategie di diversificazione delle economie nazionali. Questi tre fattori sono alla base della crescita del continente africano, che dovrebbe raggiungere il 4% annuo tra il 2018 e il 2020. Lo rivela Africa's Development Dynamics, il primo rapporto annuale - elaborato insieme all'Ocse - della Commissione dell'Unione Africana dalla sua creazione nel 1963 e presentato nei giorni scorsi ad Addis Abeba.

Africa, seconda solo all'Asia

Dall'inizio del secolo, l'Africa si è classificata al secondo posto, preceduta dall'Asia, nella classifica delle macroregioni con la più alta crescita nel mondo, con un Pil annuo del 4,7% tra il 2000 e il 2017. Seppur rilevante, l’incremento non è stato tale da riuscire ad innescare cambiamenti strutturali nel continente. Non per caso, tra il 2016 e il 2020, solo 3 dei 55 paesi africani dovrebbero raggiungere una crescita media annuale superiore al 7% come fissato dall'Agenda 2063 dell'Unione africana. Inoltre, non sono stati creati abbastanza posti di lavoro dignitosi: attualmente 282 milioni di persone sono impiegate in occupazioni precarie e la produttività è ancora molto bassa. Nel frattempo la popolazione sta aumentando rapidamente: un quarto di quella globale sarà africana entro il 2050.

Disuguaglianza

Il risultato di questa crescita schizofrenica è riflessa nell’impatto distributivo. Se il coefficiente di Gini – un indicatore di disuguaglianza - fosse sceso allo stesso livello di quello asiatico, l’incremento del Pil avrebbe fatto uscire tra il 1990 e il 2016 altre 130 milioni di persone dalla povertà. Mentre in quella assoluta è ancora intrappolato il 35% della popolazione africana, ovvero 395 mln di persone.

3 limiti

Per uscirne, secondo il rapporto, occorre partire dai tre limiti principali: eccessiva specializzazione produttiva nelle risorse naturali non rinnovabili, entrate tributarie così modeste da non dare spazio ai governi di progettare effettive politiche economiche e integrazione continentale ancora troppo debole.

La più grande area di libero scambio

Ma qualcosa potrebbe presto cambiare. Dopo due anni di trattative condotte dal presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, un passo decisivo è stato compiuto il 21 marzo scorso quando 44 paesi hanno firmato il via libera all’iter per il varo della Continental Free Trade Area (Cfta), che prevede l’abbattimento di oltre il 90% delle tariffe doganali e con 1,2 miliardi di abitanti diventerebbe la più grande zona di libero scambio da quando è stata creata l’Organizzazione mondiale del commercio.

Mancano le infrastrutture

Ma mancano 11 paesi all’appello e tra questi un assente particolarmente ingombrante, la Nigeria, ovvero la prima economia del continente. Avranno fatto i conti e scoperto che logistica e trasporto incidono sul costo di produzione di un bene almeno sette volte in più rispetto ai dazi. Ecco allora che più del libero scambio potrebbero le infrastrutture, forse il principale tallone d’Achille dell’Africa. Nonostante ciò nel 1993 l'1,4% della produzione mondiale di beni intermedi era in Africa e ora siamo al 2,2%. Passo lento, ma costante.

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