Il Venezuela distrugge le foreste per andare alla ricerca di oro

La produzione petrolifera arranca, spingendo il governo alla ricerca di nuove entrate per il bilancio dello Stato. È così che è cominciata la corsa sfrenata verso il metallo più prezioso

Caracas distrugge le foreste per andare alla ricerca di oro

Una parte della foresta venezuelana è costellata di aree disboscate di fango e sabbia, segno della distruzione causata dalle miniere d’oro illegali. Il fatto nuovo è che, invece di provare a fermare questa catastrofe, il governo venezuelano la sta incoraggiando.

Un tempo il Venezuela era famoso per la sua vegetazione. In quel periodo, gli anni ‘70, la compagnia petrolifera statale, la Pdvsa, era ben amministrata e riforniva le casse dello Stato così tanto che non c’era bisogno di abbattere le foreste.

Ma oggi il governo di Nicolás Maduro ha un altro piano. La Pdvsa è in difficoltà, spingendo il presidente a cercare nuove fonti di introiti. Dall’Amazzonia ai Caraibi, il governo ha permesso una corsa sfrenata all’estrazione di minerali.

Il processo è cominciato nel 2016, quando Maduro annunciò che un territorio a forma di mezzaluna (definito arco minerario), grande tre volte la Svizzera, sarebbe stato assegnato alle aziende minerarie. Lo scopo dell’iniziativa era attirare investimenti per l’estrazione di risorse preziose: oro, ferro, cobalto, bauxite, tantalite, diamanti e altri minerali.

Poi, dopo la vittoria di Maduro alle elezioni del 2019, gli Stati Uniti, che consideravano le elezioni irregolari, hanno imposto una serie di sanzioni contro la Pdvsa. L’economia del Venezuela era già in crisi, ma da quel momento la necessità di contante è cresciuta ancor di più.

Da allora sono stati firmati alcuni accordi legittimi con società cinesi, canadesi e congolesi, ma nessuno è sfociato in progetti significativi. E così nell’arco minerario è cominciata una corsa all’oro gestita dalla torbida alleanza tra narcotrafficanti, generali, bande di criminali e guerriglieri colombiani, mentre il governo ha assorbito buona parte dei profitti.

Nel 2016 l’Ong Global initiative ha ipotizzato che addirittura il 91% dell’oro venezuelano fosse prodotto illegalmente. Da quando Maduro ha creato l’arco minerario questa percentuale è probabilmente aumentata. L’estrazione illegale è d’altronde allettante per molti venezuelani, vista la situazione sociale ed economica nel paese sudamericano.

Durante il governo di Maduro gli stipendi sono crollati: oggi i dipendenti statali guadagnano meno di dieci dollari al mese. In tanti si sono così improvvisati minatori e gli alberi sono stati abbattuti per far posto agli scavi. Secondo i dati dell’organizzazione ambientalista Global forest watch, tra il 2002 e il 2020 il Venezuela ha perso 533 mila ettari di foresta pluviale vergine, cioè l’1,4% del totale.

Oggi il Venezuela è il primo paese dell’Amazzonia per l’attività mineraria illegale. I minatori inquinano l’acqua locale usando il mercurio per separare l’oro dai minerali grezzi, e gli scarti invisibili finiscono nei fiumi, avvelenando i nativi che si lavano e bevono nei fiumi locali.

Anche l’azienda petrolifera statale produce danni all’ambiente. Durante i governi di Hugo Chávez, predecessore di Maduro, la compagnia è diventata meno efficiente. Importanti competenze sono andate perse e oggi le infrastrutture sono in pessimo stato.

Nel 2011 il governo ha poi deciso di mettere uno stop alla pubblicazione delle statistiche ambientali, facendo calare il sipario sulla valutazione della reale portata dall’inquinamento idrico e della deforestazione. Eppure, paradossalmente, nel 2014 il ministero dell’Ambiente è stato ribattezzato ministero dell’Ecosocialismo.

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