"Nella notte delle elezioni del 2016 avevo previsto, sbagliando, che si sarebbe verificata una recessione con Trump; ma ho poi ritirato la previsione tre giorni dopo. Avevo invece azzeccato che il deficit sarebbe salito". È l'ammissione del premio Nobel per l’economia Paul Krugman.
In effetti, il governo Trump applicato nella pratica quel tipo di enorme stimolo fiscale sostenuto dai seguaci di John Maynard Keynes nei casi di alta disoccupazione. Contrariamente a quanto affermato da Donald Trump e dai suoi sostenitori, non si sta verificando un'espansione senza precedenti. L'economia statunitense è cresciuta nel 2018 al ritmo del 3,2%, un tasso che non si vedeva da "appena" il 2015.
La forza dell'economia, inoltre, non riflette un cambiamento radicale nel deficit commerciale degli Stati Uniti, che resta elevato. E non riflette neanche un enorme boom degli investimenti aziendali, che di fatto non ci sono stati. Ciò che sta guidando l'economia statunitense è ora piuttosto la spesa in deficit.
Ecco, dunque, svelato il mistero: c'è qualcosa di sinistra in Trump, qualcosa che viene dall'economista britannico John Maynard Keynes. Tuttavia, le cose non stanno esattamente così. Nella teoria keynesiana è possibile generare debito purché sia destinato a un buon fine: ad esempio le opere infrastrutturali. Al contrario, la Casa Bianca si oppone all'aumento degli investimenti pubblici e pensa, piuttosto, di tagliare sanità e istruzione. Il trend attuale dell'economia Usa invece racconta che il deficit ingrossato dalla riforma fiscale è servito perlopiù alle aziende per riacquistare le loro azioni.
Tutto ciò, secondo Krugman, non servirà a rendere la prima economia globale più robusta nel lungo periodo.