Da tempo in Libano i correntisti non possono più effettuare prelievi dai loro depositi in valuta straniera né trasferire denaro all’estero. Il settore bancario si trova virtualmente sull’orlo di un fallimento (benché ancora oggi si rifiuti di ammetterlo) e si avvale della complicità di una banca centrale che ostacola i tentativi di revisione dei propri conti dove avrebbe accumulato perdite per oltre quaranta miliardi di dollari.
Ma la crisi va oltre il sistema creditizio. La lira libanese, fino al 2019 ancorata al dollaro statunitense a un cambio fisso, ha perso in 18 mesi circa il 90% del suo valore. In un paese dove si importa quasi tutto - persino l'aglio e le cipolle - la svalutazione della moneta locale ha causato una strutturale difficoltà delle istituzioni libanesi di assicurare merci essenziali, inserite nel paniere di beni dal prezzo calmierato, come il latte, il riso, la farina.
Oltre al collasso economico, solo negli ultimi dodici mesi si sono accumulati vari problemi: lo stallo politico, l’esplosione al porto di Beirut, una continua ribellione dei cittadini contro l’élite al potere e le conseguenze della pandemia di covid-19.
Il Libano è così diventato uno stato impoverito e sempre più militarizzato proprio come gli altri paesi arabi, dove i cittadini si ribellano contro le autorità. Contemporaneamente, le potenze regionali e internazionali che un tempo erano impegnate nel paese per i propri obiettivi sembrano meno interessate a salvarlo dal suo declino auto-inflitto.
La conseguenza più impressionante di questi processi è che il Libano ha perso la sua caratteristica distintiva di un tempo come società che spiccava rispetto agli altri paesi arabi, per lo più autocrazie centralizzate. Fin dalla sua nascita un secolo fa il Libano è stato leader regionale nelle imprese umanistiche e culturali: la stampa, l’istruzione, la ricerca, il settore bancario, il teatro, l’editoria, la pubblicità, il cinema, l’arte e altre attività. Queste fiorivano perché il pluralismo religioso e culturale del paese rendeva possibile quello che nessun altro paese arabo offriva: uno spazio sufficiente ai libanesi per sviluppare appieno i loro talenti, in una sfera pubblica libera e dinamica capace di contenere una varietà di punti di vista, che è stata l’invidia di tutti gli altri popoli della regione.
Questa eredità si è lentamente indebolita negli anni recenti ed è crollata nell’ultimo anno, portando il Libano al punto da avere oggi molte somiglianze con due principali gruppi di paesi arabi. Da una parte ci sono i resti di paesi martoriati dalla guerra e con l’economia a pezzi come Libia, Iraq, Yemen o Siria, e dall’altra gli stati autoritari e rigidamente controllati dagli apparati di sicurezza, in cui gli individui hanno paura di esprimere in pubblico o in privato idee che contraddicono la linea ufficiale, come Egitto, Bahrein, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
Il risultato? L’Onu stima che più della metà della popolazione locale vive ormai sotto la soglia di povertà. D’altronde, secondo l’Istituto nazionale libanese di statistica, il costo dei prodotti alimentari è più che quadruplicato tra febbraio 2020 e febbraio 2021.