Non capitava dai tempi della dittatura di Augusto Pinochet. Mentre il presidente Sebastián Piñera decideva di revocare l’aumento del prezzo del biglietto dei trasporti pubblici - la goccia che ha fatto traboccare il vaso delle proteste provocando tre giorni di guerriglia - l’Esercito ha proclamato il coprifuoco a Santiago del Cile.
I cileni sono obbligati a restare in casa e non possono uscire dalle 9 di sera alle 7 del mattino, salvo particolari autorizzazioni. Le strade e le piazze della capitale sono presidiate dai carri armati e dai blindati dei militari che verificano il rispetto della misura.
È stato del resto lo stesso Piñera ad affidare ai militari la gestione dell’ordine pubblico dopo gli assalti, gli incendi, i saccheggi che per tre giorni, da giovedì, hanno messo in ginocchio la capitale. Il governo, infatti, non è stato in grado di gestire questa sommossa, guidata dai giovani e sostenuta dalla maggioranza della popolazione.
Così, da presunta “isola felice” come veniva solo pochi giorni fa definita dal presidente Sebastián Piñera, il Cile si scopre paese sull’orlo di una crisi che cova da tempo. E l’illusione sembra finita. Cresce il divario tra ricchi e poveri, la classe media è in affanno. È bastata una scintilla per appiccare l’incendio. E per spegnerlo il governo, che ha gettato la spugna, ha affidato la soluzione del problema ai militari. Un fantasma che rischia di far precipitare il paese in un nuovo incubo.