L’esplosione di rabbia in Cile ha sorpreso. Ma fino a un certo punto. Le proteste sono iniziate il 17 ottobre contro l’aumento del biglietto della metropolitana di 30 pesos (meno del 4 per cento), ma sono cresciute rapidamente fino a denunciare le disuguaglianze sociali che sono ancora elevate nel paese.
Eppure, il Cile è l’economia più sviluppata in America Latina. I progressi hanno consentito al Cile di diventare membro dell’Ocse nel 2010, unico paese sudamericano.
Fatto sta, “no son 30 pesos, son 30 anos” (non sono 30 pesos, sono 30 anni) hanno cantato i manifestanti, riferendosi ai tre decenni da quando il dittatore Augusto Pinochet si è dimesso da presidente del Cile nel 1990. “Trent’anni in cui il paese - spiega Antonella Mori - ha avuto un buon andamento macroeconomico: elevata crescita, bassa inflazione e modesto indebitamento. Ma i benefici della crescita non sono arrivati a tutti i cileni: la distribuzione del reddito è ancora molto iniqua”.
La fornitura dei servizi, quali istruzione, sanità, trasporti, è ancora prevalentemente di natura privata. Ciò fa sì che siano troppo costosi anche per la maggior parte della classe media. I servizi pubblici sono invece pochi e spesso di qualità scadente.
La spesa pubblica sociale in Cile è circa l’11% del Pil rispetto alla media Ocse del 20% (dati 2018). Le entrate fiscali sono pari al 20% del Pil, rispetto a una media Ocse del 34%. In più, del totale delle entrate fiscali solo l’8,8% è rappresentato da imposte pagate sul reddito degli individui, mentre più della metà sono imposte sul consumo.
“Se lo si paragona con i paesi avanzati, il Cile ha quindi sia una tassazione bassa – e nella sostanza regressiva – sia una spesa pubblica limitata - aggiunge Mori -. È quindi logico che sia debole anche l’impatto redistributivo della politica fiscale. Questa è la differenza principale tra il Cile e gli altri paesi Ocse.”
Quindi, le proteste non sono esplose per i 30 pesos di aumento del biglietto della metro. I cileni chiedono, piuttosto, uno stato sociale.