Trent’anni fa, nel dicembre del 1990, le proteste studentesche a Tirana segnarono l’inizio della fine del regime comunista. Il piccolo paese dei Balcani era stato chiuso al mondo per oltre 45 anni. Il suo dittatore Enver Hoxha aveva rotto i rapporti perfino con gli altri paesi dell’Unione Sovietica.
La città di Scutari, nel nord del paese, aveva cominciato a sollevarsi contro il regime l’anno precedente (‘89). L’Albania era tuttavia talmente isolata che neanche la caduta del Muro di Berlino fece subito eco. Nel mese di dicembre del 1990 avvenne a Tirana il punto di non ritorno per la liberazione. Poco dopo, a febbraio, verrà abbattuta la statua di Hoxha, al centro della piazza Skanderbeg, tutt’oggi fulcro della vita della capitale.
Ma il sogno di poter costruire un’Albania nuova è presto svanito. Dalla speranza di rinascita, Tirana è caduta presto sotto una nuova ombra dei grattacieli che si elevano a perdita d’occhio. Oggi è uno Stato di poco meno di 3 milioni di abitanti in pugno a poche persone che controllano l’economia, i media, lo Stato. L’Albania guidata dal socialista Edi Rama, primo ministro dal 2013, al 13° posto tra i paesi più corrotti al mondo. E che gli albanesi non sopportino di stare al gioco degli oligarchi locali, lo dicono i dati: il 56% della popolazione desidera lasciare il paese.