Quelli di Hamas - secondo Recep Tayyip Erdogan - non sono terroristi ma “combattenti” per “il proprio popolo e la propria terra”. Allo stesso tempo, il presidente turco ha sempre bollato i militanti curdi (altro popolo senza Stato, disperso principalmente tra Turchia e Siria) come “terroristi”, anche se marciavano per le strade in aiuto della curda Kobane assediata in Siria dai tagliagole dell’Isis.
Stessa sorte toccata ai militanti armeni dell’enclave del Nagorno-Karabakh, un territorio cristiano e armeno per un paio di migliaia di anni, conteso in una guerra sanguinosa agli azeri sciiti dopo la fine della “grande madre” sovietica e svuotato poche settimane fa dalla biblica cacciata di almeno centomila profughi armeni. Cacciata salutata da Recep Tayyip Erdogan così: “Ci ha reso orgogliosi il fatto che l’Azerbaigian abbia portato avanti l’operazione militare in tempi brevi e con il massimo rispetto per i civili”.
Tornando ad Hamas, il presidente turco ha aggiunto in merito alla guerra in corso: “Avevamo buone intenzioni, ma sono andate alla malora. Avevamo in programma di andare in Israele, ma non ci andremo. La metà delle vittime palestinesi sono bambini, cui vanno aggiunte donne e anziani. Un massacro che sta raggiungendo le dimensioni di un genocidio”.
Esattamente quella parola, genocidio, contro cui da anni si ribella furioso quando qualcuno osa accostarla alla mattanza degli armeni in Turchia un secolo fa.