Come era ampiamente prevedibile, il governo Barnier è caduto, in seguito alla sfiducia ricevuta in Parlamento (mozione votata da 331, oltre la maggioranza assoluta necessaria) per mano principalmente del partito di Le Pen (Rassemblement National) e quello di Melenchon (La France Insoumise), facendo precipitare la Francia (e non solo) in crisi profonda.
D’altronde l’approvazione nei giorni scorsi dell’impopolare e austera legge di bilancio aveva creato una seria situazione di instabilità politica: il bilancio per il 2025 mirava a ridurre deficit e debito pubblico, e prevedeva una correzione di circa 40 miliardi di euro, pari al 5% del Pil, divisa tra tagli alla spesa pubblica e aumenti delle imposte.
Dopo una forzatura costituzionale per approvare la legge aggirando il voto parlamentare, dove non avrebbe mai ottenuto il consenso necessario per la sua approvazione a causa del voto contrario delle opposizioni, il governo francese ha pagato il prezzo atteso: ovvero la sfiducia.
Ora, secondo quanto previsto dall’art.50 della Costituzione francese, le dimissioni del primo ministro (e del governo nel suo complesso) sono automatiche.