Nonostante i ristori economici, numerosi esercenti manifestano contrarietà alla decisione del governo, ritenuta ingiusta in quanto impone verticalmente un interesse collettivo a scapito di uno privato e colpisce orizzontalmente tutti gli esercizi. Inoltre, la decisione di erogare il fondo perduto sulla base del calo di fatturato rispetto all’anno precedente penalizza fortemente le attività giovani anche se virtuose poiché si trovano in una parabola ascendente.
“Come bilanciare le richieste legittime degli esercenti con la necessità di garantire adeguate misure di contenimento del rischio di contagio?” si chiedono due economisti, Francesco Corti e Daniel Gros. Il duo ha pronta una risposta. “Un’alternativa potrebbe essere quella di non imporre la chiusura dei pubblici esercizi e offrire su base volontaria un ristoro a coloro che non ritengono conveniente mantenere aperta la propria attività – spiegano -. La chiusura riguarderebbe soltanto il servizio al tavolo, mentre asporto e delivery rimarrebbero possibili.”
“L’utilizzo di una tassa (negativa in questo caso) per ovviare a un conflitto tra interesse privato (ristorante pieno) e interesse sociale (arginare i contagi) fa parte dell’inventario classico dell’economia dal famoso contributo di Arthur Pigou – aggiungono i due economisti -. Uno di noi discute il vantaggio economico di una “tassa negativa” rispetto a un divieto in un recente contributo. Un ristoro economico alla chiusura, al posto di una chiusura forzata, offrirebbe una serie di vantaggi.”
Per concludere – suggeriscono Corti e Gros - “un ristoro volontario invece che una chiusura forzata potrebbe essere un approccio più efficace per la gestione della seconda fase della pandemia. La chiusura totale del settore ristorazione e bar rischia di mortificare gli sforzi compiuti da migliaia di esercenti virtuosi in questi mesi. Un’apertura parziale, guidata da incentivi finanziari, garantirebbe anche un contenimento della spesa pubblica.”