Seppur con un margine di voti piuttosto deludente, Andrea Nahles, 47 anni, è la prima donna a guidare i socialdemocratici tedeschi (Spd). Il suo compito è arduo: tentare di guidare e, al contempo, riformare il partito.
Dopo aver ottenuto un modesto 66,35% dai delegati dell’Spd riuniti nella città tedesca di Wiesbaden, in una domenica di aprile Nahles è diventata il leader del partito, che appena un anno fa aveva eletto all’unanimità Martin Schulz, per lungo tempo presidente del Parlamento europeo, come segretario e candidato cancelliere. Il risultato è stata una storica sconfitta elettorale, che ha diviso l’Spd e lasciato l’unica chance della “grosse koalition” con Cdu e Csu bavarese. L’accordo, tuttavia, ha lacerato il partito. È stata soprattutto l’ala più giovane a sentirsi tradita.
Ex ministro del lavoro nel precedente esecutivo, Nahles non è un membro del quarto governo Merkel. Può, dunque, dedicarsi a risollevare le sorti dei socialdemocratici, che nelle elezioni del 2017 hanno con difficoltà superato la barriera del 20%, salvo poi diminuire fino al 17% nei sondaggi. Secondo il Nahles pensiero, la parola chiave per uscire dal guado è: “Solidarietà, ovvero una delle più gravi mancanze in questo mondo globalizzato e neoliberista”.
Nonostante la fermezza del neo-segretario sia fuori discussione, 210 dei 631 delegati hanno votato contro di lei. Il dato sta a significare che un segmento dell’Spd vuole qualcosa di nuovo e di diverso dalla “grosse koalition”. Sottovalutarlo potrebbe risultare fatale per Nahles, che invece dovrà ripartire da chi quella domenica non ha espresso la preferenza per lei.