Nelle scorse settimane in molti avevano dato per scontato sanzioni statunitensi contro l’industria petrolifera venezuelana. Eppure Washington sembra ora riluttante. E per un fatto sia politico che economico.
L'amministrazione Trump non vuole essere ritenuta responsabile del collasso definitivo del Venezuela. Allo stesso modo, non è intenzionata a vietare le importazioni negli Usa del greggio di Caracas, così come non sembra disposta a rinunciare alla fornitura del diluente che serve per rendere il petrolio venezuelano, che risulta troppo denso, trasportabile attraverso gli oleodotti.
Occorre, poi, considerare un dato. Nonostante la brusca frenata della produzione petrolifera, il Venezuela ha visto le esportazioni di petrolio salire nel suo più grande mercato estero, gli Stati Uniti: tra febbraio e giugno sono aumentate del 43%.
Attualmente l’export del paese sudamericano verso gli Stati Uniti si sta stabilizzando, ma la produzione totale di petrolio venezuelano sta crollando. Paradossalmente il paese dell'America latina è quello con le maggiori riserve di oro nero al mondo.
Nonostante ciò è al collasso. L'inflazione salirà a 1.000.000% entro la fine di quest'anno. Basterebbero sanzioni anche modeste per dare la spallata finale. Ma Trump vuole evitare che il prezzo del petrolio salga troppo a ridosso delle elezioni di medio termine negli Stati Uniti in programma a novembre. In quel caso Nicolas Maduro avrebbe gioco facile nel puntare il dito contro “l’imperialismo” di Washington.