Si infiamma il Kashmir dopo il raid aereo indiano in Pakistan, dove 12 caccia Mirage-2000 hanno lanciato 6 bombe su un campo di addestramento di presunti militanti estremisti, causando 350 morti. "Non è un atto di guerra", fa sapere il governo indiano. "Risponderemo all'attacco" replica quello pakistano. In ballo c’è il controllo di un’area strategica anche dal punto di vista economico e, soprattutto, idrico.
India e Pakistan hanno, infatti, qualcosa in comune: sono aspri rivali nell'accesso all’acqua ed entrambi dispongono di armamenti nucleari. I due paesi hanno siglato il “Trattato sull'acqua dell'Indo” nel 1960. È da allora che il fiume Indo e i suoi maggiori affluenti, che scorrono dall'India verso il Pakistan attraverso la contesa regione del Kashmir, sono accuratamente spartiti. Ora antichi dissapori stanno riemergendo.
L'invio di cacciabombardieri in Pakistan, spiega New Delhi, è stato lanciato in risposta all'attacco-kamikaze che, il 14 febbraio, ha causato 42 vittime tra le forze di sicurezza indiane nel Kashmir. Nel bombardamento, dichiara il ministro degli Esteri indiano Vijay Gokhale, "è stato distrutto il più grande campo di addestramento del gruppo terroristico di Jaish-E-Mohammed, l'esercito di Maometto sul territorio pakistano, ma non è un atto di guerra”. L’attacco avrebbe sorpreso nel sonno 325 militanti e 25 addestratori di Jaish-e-Mohammad.
Per il Pakistan, invece, si è trattato "di aggressione gratuita" alla quale il Paese "risponderà quando e dove riterrà opportuno". Ancora una volta, aggiunge, il governo pakistano, "l'India ha fatto ricorso ad un'affermazione egoistica, spericolata e falsa per consumo interno a fini elettorali". Per questo motivo, il premier Khan "si è rivolto alle istituzioni, alle forze armate e alla popolazione perché si preparino ad ogni eventualità". E si è impegnato a denunciare alla comunità internazionale "l'irresponsabile politica indiana nella regione".