Un nazionalista di sinistra amante del baseball che ha promesso di reprimere la corruzione, di combattere i cartelli della droga e di governare per i poveri. È l'identikit del vincitore delle elezioni in Messico.
Andrés Manuel López Obrador, un 64enne meglio conosciuto come Amlo che conta anche amicizie all’estero come quella con il leader laburista Jeremy Corbyn, è stato eletto con il 53% dei voti. Battuti sia il principale rivale, Ricardo Anaya del Partito nazionale d'azione, sia José Antonio Meade del partito Rivoluzionario istituzionale, che ha governato il Messico per gran parte del secolo scorso.
Ma chi è il vincitore? Nato nel 1953 da una modesta famiglia nello stato sud-orientale di Tabasco, Lopez Obrador è stato eletto nel 2000 sindaco di Città del Messico e ha, così, trovato un trampolino di lancio ideale per la prima candidatura alle presidenziali. Era il 2006 e promette di "mettere i poveri al primo posto". Gli oppositori lo paragonano all'allora presidente del Venezuela, Hugo Chavez, e lanciato una campagna che lo bolla come "un pericolo per il Messico". Perde, ma non si abbatte.
Comincia a battere la periferia dimenticata da tutti e organizza comizi davanti a poche persone, che non vedevano da anni leader politici di caratura nazionale. Ci riprova alle elezioni presidenziali del 2012, ma gli vanno male anche quelle. Non molla neanche questa volta. Forma un nuovo partito, il Movimento di rigenerazione nazionale e nel 2015 è di nuovo pronto. In molti avranno pensato per un’altra sconfitta. Nel frattempo, però, il quadro macroeconomico peggiora e la dilagante corruzione favoriscono l’ascesa di López Obrador. Fino alla vittoria del primo luglio.
I critici temono che il nuovo presidente possa virare verso una versione messicana di Hugo Chavez. Tuttavia, nel tentativo di placare gli imprenditori, Lopez Obrador ha promesso che non ci saranno "espropri e nazionalizzazioni" e ha garantito che i suoi programmi sociali saranno finanziati attraverso la lotta alla corruzione, senza aumentare le tasse.
Il programma non si conosce nei dettagli, ma gli elettori – sono andati a votare circa 89 milioni di messicani su una popolazione di 130 mln – hanno apprezzato la capacità comunicativa di Lopez Obrador. E questo è già abbastanza per i messicani, che avevano bisogno di trovare una figura che potesse rappresentare una rottura con il sistema politico che ha governato per quasi tutto il secolo scorso la seconda economia dell’America latina. Una rottura piuttosto che un segnale di cambiamento.