Al centro di tutto c’è un fatto di classificazione. Cosa è ‘green’ e cosa non lo è? In merito al Green New Deal annunciato nelle settimane scorse dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, Bruxelles ha deciso di inserire nella tassonomia ufficiale il nucleare (richiesta avanzata da Parigi) e il metano (interessa soprattutto alla Germania impegnata nell’abbandono del carbone).
Ma il nodo principale in realtà è un altro: gli investimenti verdi possono essere finanziati in deficit? Con l’obiettivo di una riduzione del 50-55% (quanto occorre per arrivare al traguardo annunciato dall’Ue di emissioni zero nel 2050) servono almeno 300 mld l’anno. E come saranno contabilizzate dai singoli paesi europei queste decine di mld?
Qui si apre lo scontro fra rigoristi e no. In verità il Patto di Stabilità - evidenziano i primi - già consente un margine di flessibilità: si possono finanziare, allontanandosi dal percorso verso l’equilibrio strutturale di bilancio, gli investimenti che abbiano “effetti a lungo termine positivi, diretti e verificabili, sulla crescita e sulla sostenibilità delle finanze pubbliche”.
Ma a precise condizioni:
• il paese deve essere in recessione;
• in ogni caso il disavanzo deve restare ben sotto il 3% del Pil;
• il pacchetto di investimenti non deve superare lo 0,5% dello stesso Pil;
• si può concedere una volta sola e senza compromettere il riequilibrio di bilancio nei successivi 4 anni.
Il problema è che stretto tra questi vincoli di un Green New Deal rimane poco. Per l’Italia il massimo teorico è pari a 8 miliardi (0,5% del Pil). Cio’ significa che paesi come Francia, Spagna e (appunto) Italia saranno penalizzati e che gli investimenti verdi se li potranno permettere solo Germania, Austria e Paesi Bassi.
A meno che Bruxelles non vari nuove regole…