Adesso che si comincia a guardare ai posti di lavoro distrutti, i governi si chiedono: tornare a ieri o costruire un altro domani? Secondo alcuni, la transizione a un’economia neutra dal punto di vista climatico, la protezione della biodiversità e la trasformazione del sistema dell’agroalimentare potrebbero creare posti di lavoro e crescita, contribuendo alla costruzione di società più resilienti.
Poche settimane prima dello scoppio della crisi, l’Ue aveva varato il “Green new deal”, che delineava le linee guida per arrivare a zero emissioni nette nel 2050. Che ne sarà ora di quel progetto? E perché non puntare la ripresa sulla transizione ecologica? In effetti, se volessimo, dal Covid-19 potremmo addirittura uscirne con una ripresa sostenibile.
Ma, evidentemente, non tutti sono d’accordo. Alcuni settori produttivi vedono nel Coronavirus l’occasione per rimandare decisioni che ne ridurrebbero i ricavi. Le lobby dei fossili, della plastica, dei trasporti sono al lavoro per convincere i governi che la rivoluzione ecosostenibile può attendere. E, ricordano, che senza le tradizionali industrie inquinanti la temuta perdita di posti di lavoro assumerà dimensioni catastrofiche.
D’altronde, in Paesi comeRepubblica Ceca e Polonia, ma anche alcune regioni in Francia, Germania e Spagna, le economie sono dipendenti dall’energia fossile.
E in Italia? Secondo lo studio di Re.common e Greenpeace, attraverso i loro finanziamenti all’industria fossile, nel 2019 le istituzioni finanziarie italiane hanno causato l’emissione di 90 milioni di CO2, l’equivalente delle emissioni annuali di tutta la Grecia. Unicredit e Intesa Sanpaolo, una delle ultime banche a non avere adottato nessuna restrizione riguardo ai finanziamenti ai combustibili fossili (ha però annunciato che metterà a disposizione 50 mld di prestiti a sostegno del ‘’Green New Deal’) sono responsabili del finanziamento dell’80% di queste emissioni.
Non è allora chiaro se le ambizioni verdi della presidente della Commissione Ursula Von der Leyen verranno messe in un angolo. L’ipotesi più accreditata è che si procederà per fasi. Nella prima la priorità sarà aiutare le imprese in difficoltà, soprattutto nei settori ‘tradizionali’ per evitare la perdita di posti di lavoro e il tracollo di interi settori produttivi.
Ma in una seconda fase è probabile che i prestiti e gli aiuti europei saranno legati a precise condizioni favorevoli alla transizione ‘green’. E il dibattito, a quel punto, dovrebbe spostarsi sulla dicotomia tra debito ‘buono’ o ‘cattivo’.