È durata appena quattro anni la permanenza di Carlos Tavares sul trono di Stellantis, nata dalla fusione a inizio 2021 fra la Fca controllata dalla Exor della famiglia Agnelli e Psa (Peugeot-Citroen) controllata dalla famiglia Peugeot e dallo Stato francese.
Tavares è un duro con una fama di tagliatore di costi (e di posti di lavoro, ndr). Gli viene imputata da molti analisti la sua scarsa fermezza nel perseguire gli obiettivi. Qualche anno fa ha messo in dubbio la portata della rivoluzione “elettrica” dell’auto.
Poi però Tavares ha deciso di adeguare velocemente l’azienda allo scenario elettrico imposto dall’Ue. Peccato che il mercato non abbia risposto e la politica neppure: le auto elettriche costano troppo e gli incentivi sono insufficienti.
Tavares in Italia si è poi dimostrato molto poco duttile con la politica, trascinando l’azienda in dure polemiche con il governo di centro-destra e con i sindacati.
A questo vanno aggiunti le vendite difficili e la perdita di quote di mercato, la transizione ecologica da gestire, il ricorso alla cig in molti stabilimenti.
Presi per il PIL
In una crisi aziendale, oppure settoriale, o addirittura sistemica, entrano in gioco diverse tipologie di fattori (esogeni e endogeni). Tra quelli endogeni, raramente a pagare è il management (più semplice licenziare, ridimensionare, delocalizzare o perfino chiudere). Nella crisi di Stellantis, come in quella di altre case automobilistiche ora in grave difficoltà, sembrano venire al pettine proprio gravi errori di strategia aziendale. Non per caso, in Germania si sta consumando un duro scontro tra i sindacati e i rappresentanti della dirigenza del Gruppo Volkswagen, in cui i primi accusano i secondi di essere la causa del problema (piuttosto che la soluzione).