Lei Jun è il fondatore di Xiaomi, il quarto produttore mondiale di smartphone. In estate quoterà la sua società da 100 miliardi di dollari, nel frattempo corteggiata dalle borse di mezzo mondo: da New York a Hong Kong, da Shanghai a Singapore.
La valutazione di Xiaomi è più che raddoppiata dalla raccolta di fondi del 2014, quando fu valutata 45 mld. Se la quota di Jun sarà pari al 77,8%, come suggeriscono i media cinesi, ciò lo renderà l’uomo più ricco della Cina, superando la fortuna di 45,3 mld del fondatore di Tencent Pony, Ma Huateng, e i 39 mld del proprietario di Alibaba Group Holdings, Jack Ma Yun.
Il programmatore informatico, 48 anni, si è reinventato imprenditore, riuscendo a trasformare una start-up in un’azienda con 15 mila dipendenti e 16 mld di vendite in sette anni. Il successo è legato a stretto giro con il modello di business definito “tipping”, ossia vendere l’hardware con un margine di profitto pari o inferiore a zero e monetizzare con i servizi complementari.
In Cina hanno capito quanto sia importante offrire un buon rapporto qualità-prezzo, specialmente nei mercati che tirano, ovvero quelli emergenti. Xiaomi ha iniziato a produrre smartphone con specifiche tecniche trovate sui migliori modelli oltreoceano, vendendoli a meno della metà del prezzo. La strategia di pricing ha dato i suoi frutti in India, facendo di Xiaomi il primo marchio nel subcontinente con una quota di mercato del 27%.
Jun non vuole diventare la versione cinese di Steve Jobs. Ma attraverso le specifiche tecniche trovate sui migliori modelli oltreoceano Xiaomi ha cominciato a produrre e vendere smartphone a meno della metà del prezzo. Semplice e vincente. Altro che Iphone X.