Sono due miliardi le persone nel mondo - oltre il 61% di tutti i lavoratori - impiegate nell'economia informale. Lo evidenzia un nuovo rapporto Ilo.
In ordine decrescente il lavoro sommerso raggiunge l’85,8% in Africa, il 68,6% negli Stati arabi, il 68,2% in Asia e Pacifico, il 40% nelle Americhe e il 25,1% in Europa e Asia centrale. Il 93% dell’occupazione informale mondiale si trova nei paesi emergenti e in via di sviluppo.
Una delle chiavi per comprendere la "shadow economy" è l’istruzione. L’informalità diminuisce all’aumentare del livello di scolarizzazione. Le persone che hanno completato gli studi secondari e terziari hanno meno probabilità di lavorare nell’economia sommersa rispetto ai lavoratori che non hanno completato la scuola primaria o meno.
Un’altra variabile cruciale è quella che gli inglesi chiamano “country-side”. Le persone che vivono nelle aree rurali hanno una probabilità quasi doppia di lavorare in nero. L’agricoltura è con il 90% il settore con il più alto livello di occupazione informale.
Due degli autori del rapporto, Florence Bonnet e Vicky Leung, sottolineano che, sebbene non tutti i lavoratori in nero siano poveri, la povertà è al contempo causa e conseguenza dell’informalità.
La "shadow economy" non fa bene a nessuno. O forse a pochi. Per i lavoratori è sinonimo di assenza di diritti, protezione sociale e condizioni di lavoro dignitose. Per le imprese corrisponde a scarsa produttività e ridotto accesso ai finanziamenti. Tutti buoni motivi per cambiare.