Treni fermi, uffici e scuole chiuse: il primo febbraio il Regno Unito si è bloccato per il più grande e partecipato sciopero (è solo l’ultimo di una lunga serie che attraversa la Gran Bretagna da tre mesi) della pubblica amministrazione da dieci anni a questa parte. Secondo la stampa britannica, al blocco hanno aderito oltre mezzo milione di lavoratori, scesi in piazza per chiedere migliori condizioni di lavoro e un aumento dei salari, che non riescono a tenere il passo con l’inflazione.
Dal canto suo, il governo ha più volte ribadito che non intende concedere aumenti salariali troppo generosi, che renderebbero cronica l’alta inflazione di questi mesi, ormai sopra il 10%. Intanto il Fondo Monetario Internazionale ha declassato l’economia del Regno Unito, unica tra i paesi del G7 che quest’anno entrerà in recessione. Il che rischia di prolungare per mesi le mobilitazioni dei lavoratori.
Anche perché le proteste non riguardano soltanto i livelli salariali. Insegnanti, infermieri, autisti tante altre categorie lamentano il progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro, determinato da anni di austerity e tagli ai finanziamenti, tra gli altri, nella sanità, nell’istruzione, e nei trasporti.
Il risultato è che il debole governo Sunak è riuscito nell’impresa di resuscitare la forza dei sindacati - che nel corso dei decenni hanno visto progressivamente erodere il loro potere - salvo poi minacciare leggi restrittive sul diritto di sciopero. Benzina sul fuoco di un confronto di cui non si vede al momento una soluzione.